Articoli

la retroflessione

LA RETROFLESSIONE PSICOLOGICA

LA RETROFLESSIONE PSICOLOGICA

Un meccanismo di difesa

Un percorso di psicoterapia è essenzialmente un percorso di conoscenza di sè.

Durante questo percorso è possibile riflettere su alcuni comportamenti che si mettono in atto e che non hanno, apparentemente, una spiegazione razionale.

E’ necessario che in questo percorso si sia seguiti e affiancati da uno psicoterapeuta in quanto interpretazioni autonome possono esitare in convinzioni erronee.

Di seguito viene esposto sinteticamente e solo a scopo divulgativo il fenomeno della “retroflessione”.

LA RETROFLESSIONE

E’ l’atteggiamento di colui che fa a sé stesso ciò che avrebbe voluto (originariamente) fare ad un altro.

Se l’ambiente risulta troppo forte, ostile e frustrante la persona rinuncia a lottare, si arrende e si adegua ma dentro di sé il bisogno continua a premere e bisogna impiegare una forte quantità di energia per impedirgli di esprimersi.

Scrive Perls:

“… l’organismo si comporta verso il proprio impulso nello stesso modo dell’ambiente; vale a dire lo reprime.

La sua energia viene pertanto divisa.

Una parte tende ancora verso le sue mete originarie e insoddisfatte; l’altra parte viene retroflessa per tenere a freno la prima tesa all’esterno.

A questo stadio le due parti della personalità lottando in direzioni diametralmente opposte entrano in lotta tra loro.

Quel che è cominciato come un conflitto tra l’organismo e l’ambiente è diventato un conflitto interno tra una parte e l’altra della personalità, tra un tipo di comportamento e il suo inverso “.

Pensare, filosofare, elaborare progetti senza arrivare alla realizzazione possono costituire delle retroflessioni se questi atteggiamenti sopravvengono in luogo e al posto dell’azione.

Si potrebbero aggiungere a questo proposito le considerazioni classiche della psicanalisi sulla depressione:

il depresso si squalifica e si autoaccusa perché butta su di sé il risentimento per l’oggetto d’amore che se ne è andato.

Di fronte ad un paziente che si autopunisce e si autocommisera o dice di soffrire di un complesso di colpa Perls non ha esitazioni nel suggerirgli per prima l’ipotesi della retroflessione.

I suoi interventi di solito sono del tipo: se invece di graffiarti in continuazione io ti proponessi di graffiare qualcun altro, chi avresti voglia di graffiare in questo momento?

oppure: chi avresti voglia di criticare e di far sentir colpevole?

Allo stesso modo lavora con i sintomi psicosomatici.

Naturalmente il concetto di retroflessione comprende anche l’atteggiamento opposto a quelli esaminati sino ad ora, cioè l’atteggiamento di chi fa a sé stesso ciò che amerebbe che altri facessero a lui e che lui non osa chiedere.

Si pensi a certe forme di narcisismo, si pensi all’atteggiamento di dondolarsi invece di cercare la tenerezza di un patner desiderato o alla compensazione affettiva di tante forme di autogratificazione.

blu psicologo milano

Dott. Donato Saulle

Psicologo Milano Donato Saulle
blu psicologo milano
Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito, 6 (angolo Via Torino) – MILANO – Cell. 3477966388blu psicologo milano

Fonti:

Perls Fritz, “L’Io, la fame, l’aggressività”, Milano, Franco Angeli, 2003
Perls Fritz, Hefferline R.F., Goodman Paul, “Teoria e pratica della terapia della Gestalt”, Roma, Astrolabio, 1971

LE LOGICHE DEL DESIDERIO 1

LE LOGICHE DEL DESIDERIO

LE LOGICHE DEL DESIDERIO

Cosa sappiamo del desiderio umano?
L’opinione prevalente nel senso comune è che l’essere umano scelga in modo completamente autonomo di orientare il suo desiderio su un oggetto. Questo spiega la nascita del desiderio con il fatto che ogni oggetto possiede un valore che lo rende desiderabile in sè.
Questa visione lineare del desiderio che collega direttamente il soggetto all’oggetto è di una semplicità evidente. L’essere umano sembrerebbe però essere intrinsecamente più complesso e questa teoria non spiega fenomeni come l’invidia o la gelosia.
In questo post è mia intenzione proporre, in modo anche casuale, arbitrario e semplificato, come alcuni studiosi e autori di ambiti diversi hanno teorizzato le logiche del desiderio.

Lacan colloca il desiderio nella mancanza. La mancanza caratterizza ogni itinerario che dal bisogno conduce al desiderio. Il desiderio inconscio è ciò che si oppone alla mancanza. Non si può nominare, ovvero non c’è un significante, una parola che può definirlo totalmente, ma rimanda sempre a qualcos’altro. Altro, non inteso come uomo ma come luogo; altro da sè. Non è desiderio di qualcosa di materiale; è innanzitutto desiderio del desiderio dell’altro, desiderio di ciò che l’altro desidera, desiderio di essere desiderato dall’altro, di essere riconosciuto dall’Altro.
Il desiderio è anche una metafora. Si esprime in modo costruttivo nelle sembianze di una passione, di un ideale, di una ricerca che dia senso, che offra consistenza alla propria vita. E’ inconscio, è una spinta: è un movimento che orienta la propria esistenza. E’ un motore ed è ciò che dà vitalità al soggetto. In senso negativo è negazione di parti di sè e origine di conflitti intrapsichici e sociali.

Nella terapia della Gestalt di Perls la logica del desiderio si colloca all’interno di una relazione dinamica tra un soggetto e un oggetto o un’altra persona, una cosa, un sentimento. E’ quindi ancora determinato da un bisogno e ha come scopo la sua soddisfazione. Una volta soddisfatto il bisogno il desiderio è appagato e ne emergerà uno nuovo. Anche nel campo dei sentimenti e delle emozioni personali si può riscontrare questa stessa modalità. Il bisogno in primo piano, sia esso quello della sopravvivenza o un qualsiasi altro bisogno fisiologico o psicologico è comunque quello che preme con maggiore urgenza per il proprio appagamento e in alcuni casi seleziona elementi della realtà distorcendola.

Alcuni recenti studi sull’empatia e sui “neuroni specchio” invece sostengono che nel comportamento umano si riscontra una dimensione imitativa, cioè una volontà di imitare il proprio simile.
Tale atteggiamento è indispensabile all’uomo per diventare tale, per apprendere a parlare, a camminare, a conformarsi a delle regole e a integrarsi in una cultura.
Ed è sempre per imitazione che desideriamo ciò che anche un altro desidera.
Già Girard sosteneva che non esiste un vero desiderio individuale, ma solo un desiderio mediato, che imita il desiderio di un’altro che ha suggerito l’oggetto da possedere.
Tutto ciò significa che il rapporto tra soggetto e oggetto non è diretto e lineare, ma è sempre triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato.
Al di là dell’oggetto, è il modello (che Girard chiama «il mediatore») che attira il desiderio. In particolare, a certi stadi di intensità, il soggetto ambisce direttamente all’essere del modello.
Focalizzare il proprio desiderio su un modello, è già riconoscergli un valore che si pensa di non possedere ed equivale a constatare la propria insufficienza di essere umano e dare a sè stessi un giudizio di valore.
Così si istituisce la mediazione del modello ed una prima trasfigurazione dell’oggetto. Ad esempio, quell’automobile è qualcosa di più di una automobile, altrimenti  qualsiasi modello d’auto servirebbe allo scopo; e invece è  l’oggetto su cui proietto la mia carica libidica, che mi permette non solo di avere ma sopratutto di essere.
Di essere e di avere quelle caratteristiche che io attribuisco al possessore dell’oggetto.
Per questo Girard parla di desiderio «meta-fisico»: non si tratta per lui di un semplice bisogno perché «ogni desiderio è desiderio d’essere».

Dott. Donato Saulle

meccanismi psicologo milano

 

 

blu psicologo milano

Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito,6 (angolo Via Torino) – MILANO – Cell. 3477966388blu psicologo milano

Fonti:
“La teoria del desiderio mimetico in René Girard. Verità romanzesca e menzogna romantica”.
“René Girard: di miti, religioni e capri espiatori” di Marco Aime
“La mancanza e il desiderio” – Giselle Ferretti
Bruno Moroncini, Rosanna Petrillo, Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan
https://it.wikipedia.org/wiki/Ren%C3%A9_Girard
Garzanti – Psicologia a cura di U.Galimberti
Zerbetto Riccardo, “La Gestalt. Terapia della consapevolezza”, Milano, Xenia, 1998
Perls Fritz, Baumgardner Patricia, “Terapia della Gestalt. L’eredità di Perls – Doni dal lago Cowichan”, Roma, Astrolabio, 1983
Pessa Eliano, ”Reti neurali e processi cognitivi”, Roma, Di Renzo Editore, 1993
Immagine:  “Nocturnos” – Ricardo Cinalliblu psicologo milano

Tags: Conflitto, Lacan, Gestalt, Perls, capro espiatorio

TERAPIA DELLA GESTALT – La somma delle parti

TERAPIA DELLA GESTALT

“Il tutto è più della somma delle parti”

La parola d’origine tedesca Gestalt  tradotta in passato in modo inadeguato con il termine “forma”, corrisponde invece al significato di “struttura unitaria”, “configurazione complessiva”, termini questi più adeguati in quanto implicano anche un aspetto di organizzazione della forma percepita.

La terapia della Gestalt si inserisce tra le terapie umanistiche e nasce a New York nel 1950 circa dalle intuizioni di Friedrich Perls, psicoanalista tedesco, emigrato negli anni quaranta per motivi razziali in Sudafrica e poi negli Stati Uniti.

La vita di Perls è stata una sintesi continuamente rinnovata e rivitalizzata da un insieme vastissimo di esperienze umane sempre nuove e sempre diverse.

La stessa cosa possiamo dire della sua terapia in quanto sarebbe molto difficile precisare quanto questo suo approccio terapeutico deve a questa o a quella filosofia a questa o a quella scuola.

Inoltre le tecniche che sono nel tempo diventate celebri e utilizzate da altre teorie, oltre che in terapia della Gestalt, come la tecnica della sedia vuota, hanno portato la terapia della Gestalt ad essere identificata a volte con approssimazione con le sue tecniche e deprivata del suo imprescindibile sistema filosofico di riferimento.

L’apparente purezza della sua pratica clinica basata sul quì e ora e sulla immediatezza, in alcuni casi sorprendente degli esiti, sembrano permettere di eluderne gli assunti teorici che si possono invece ritrovare come base per la terapia della Gestalt, nella Filosofia Esistenziale, nella Fenomenologia e nella Semantica.

Nei suoi scritti sulla terapia della Gestalt tuttavia Perls  che privilegiava uno stile e personale e creativo e che aveva una visione fondamentalmente eclettica e pluralista della terapia, pur citando le persone che hanno avuto influenza sul suo pensiero, non si è mai preoccupato di precisare che cosa esattamente aveva preso dall’uno o dall’altro.

E’ più facile quindi inquadrare la terapia della Gestalt a posteriori, inquadrandola storicamente e cominciando con il considerarla una parte importante della Psicologia Umanistica che si rifà alle concezioni di Maslow, Carl Rogers, Rollo May, ma che in realtà è diventata il polo di aggregazione di idee e di correnti che hanno, rispetto alla Psicoanalisi classica, una presa di distanza che comunque non è mai contrapposizione frontale ma piuttosto esigenza di integrazione, superamento in una concezione più vasta.

Storicamente negli anni ’50 – ’60 l’orientamento è di tipo psicodinamico: il disturbo psichico è considerato in termini biomedici anche per le innovazioni farmacologiche del momento. Contemporaneamente è riconosciuta l’inadeguatezza dei manicomi.

In questo periodo nascono nuovi modelli di riferimento; sociogenetici, comportamentali, umanistici, esistenziali e nuove psicoterapie: brevi, familiari, di gruppo, con tecniche differenti legate ai differenti disturbi.

In generale vi è una maggiore attenzione alla storia familiare, evolutiva e agli schemi adattivi messi in atto e che sono considerati fondamentali anche nella terapia della Gestalt.
Sullivan nel 1954 propone una teoria basata sulla nozione di campo relazionale secondo la quale la personalità individuale è un prodotto dell’interazione di campi di forza interpersonali, di contesti relazionali non solo reali ma anche immaginari, che agiscono come personificazioni interiori anche in situazioni di isolamento. In quest’ottica la terapia è demedicalizata, il rapporto medico-paziente non è più concepito secondo lo schema sano-malato ma come un tentativo di reciproca comprensione nel quale il terapeuta sviluppa un maggiore atteggiamento empatico e riconosce l’importanza delle determinanti ambientali e sociali.

L’elemento innovativo introdotto da Perls nella terapia della Gestalt fu di estrapolare i principi delle leggi di percezione applicandoli ad una dimensione esistenziale ed evolutiva dell’individuo e quindi alla possibilità di utilizzarli in psicoterapia.
Alcuni ricercatori della psicologia della percezione infatti come Koler e Wertheimer sostennero che c’è prima di tutto una formazione complessiva – che essi chiamano Gestalt (formazione della figura) – e che tutti gli altri pezzi isolati sono formazioni secondarie e formulano la teoria della Gestalt in questo modo:
“ci sono degli insiemi il cui comportamento non è determinato da quello dei loro singoli elementi ma dove i processi delle parti sono determinati dalla intrinseca natura del loro insieme. Questo è il significato della celebre frase il tutto è più della somma delle parti. Lo scopo della teoria della Gestalt è di determinare la natura di questi insiemi.”
La psicologia della Gestalt (vedi: “La psicologia della percezione“) identificava un processo percettivo unitario grazie al quale i singoli stimoli sarebbero integrati nel soggetto in una forma dotata di continuità.

Ciò che prima era stato considerato un processo passivo, il percepire, veniva ad essere pensato come qualcosa di gran lunga più attivo e cioè come un’attività subordinata a certi principi organizzativi generali.Scrive E. Pessa: “i gestaltisti concepiscono il processo di soluzione di un problema alla stregua di un processo percettivo governato, per l’appunto, da leggi gestaltiche, leggi che fanno sì che si tenda a percepire una buona forma. Anche la situazione problematica, individuata da elementi e rapporti tra questi elementi, è una forma, che però è percepita come cattiva, mancante, incompleta: è proprio questo che fa sì che la situazione costituisca un problema in quanto tale. Le leggi della buona forma impongono, però, una ristrutturazione, nel senso del ristabilimento di una struttura completa, chiusa, ottimale, che costituisce di per sé la soluzione stessa del problema. L’atto di ristrutturazione costituisce il celebre insight, già introdotto da Kohler. Si tratta di una concezione dell’apprendimento molto qualitativa e difficile da verificare sperimentalmente. Tuttavia ha l’indubbio vantaggio di mettere in luce il ruolo dei fattori di tipo globale nei processi di apprendimento. In altri termini, essa asserisce che, accanto alle singole associazioni tra stimoli e risposte e sovraordinato rispetto a queste, esiste un campo, esattamente analogo ai campi di forze di cui parla la fisica, che determina globalmente la dinamica del processo di apprendimento e le storie delle varie connessioni stimolo-risposta. L’evoluzione di questo campo è governata da leggi che tendono al mantenimento di un opportuno equilibrio globale e, nel caso in cui esso sia turbato, fanno insorgere delle forze che provvedono al suo ristabilimento”
L’indagine psicologica è quindi essenzialmente diretta a rintracciare le leggi di questa strutturazione e che sono poi le leggi che regolano il nostro contatto con il mondo. Un altro aspetto fondamentale della psicologia della Gestalt, poi ripreso dalla terapia della Gestalt, è quello dell’organizzazione del campo percettivo in figura e sfondo, che fu introdotta da Edgar Rubin  e che mise in risalto come la figura emergente è generalmente contraddistinta da contorni definiti che rappresentano il focus dell’attenzione ed è caricata di una maggiore energia di relazione con l’osservatore. Lo sfondo, al contrario, rappresenta il resto del campo visivo ed è caratterizzato da attributi inversi a quelli menzionati per la figura emergente. E’ interessante notare come allo stesso Rubin non sfugga l’importanza dell’esperienza passata dell’osservatore nell’investire di connotati affettivi gli elementi del campo osservato. Di qui la tendenza,non casuale, a privilegiare l’uno o l’altro elemento come focus dell’attenzione.
K. Lewin attuò inoltre un importante esperimento di memoria che sarà poi ripreso come fondamento per l’impianto teorico della terapia della Gestalt e che darà origine ad alcune tecniche per risolvere quelli che sono definiti “unfinished business” e cioè i “compiti non conclusi”.
Scrive Perls: “in un esperimento Lewin diede ad un certo numero di persone dei problemi da risolvere. Non era stato loro detto che era un test di memoria, ma avevano l’impressione che fosse eseguito un test di intelligenza. Il giorno dopo fu loro chiesto di scrivere i problemi che ricordavano ed erano proprio i problemi non risolti ad essere ricordati di più di quelli che erano stati risolti”.

E’ come se i compiti non conclusi e i problemi non risolti creino una sorta di interferenza e di frustrazione e fino a quando il compito o il blocco non è stato superato, concluso o risolto la mente non si libera del pensiero e i comportamenti si ripetono nel tentativo di superare il blocco o di risolverlo, a volte la persona non si rende conto in modo cosciente di questo blocco ed è per questo che a volte è utile l’incontro con un terapeuta.

La parola “soluzione”, nel linguaggio della terapia della Gestalt, indica la scomparsa e la dissolvenza di una situazione confusa.

Quindi una situazione non conclusa polarizza una carica di energia destinata a completarla rendendo la stessa energia non più disponibile per altri tipi di esperienza. Il mancato completamento della situazione precedente comporta un ripresentarsi ripetitivo della situazione stessa anche in luoghi e tempi successivi interferendo quindi con la possibilità dell’individuo di entrare efficacemente in contatto con i contesti cognitivi, emotivi e sociali in cui di volta in volta verrà a trovarsi.
Nella terapia della Gestalt di Perls questo concetto si dilata per definire una relazione dinamica tra un soggetto e un oggetto o un’altra persona, una cosa, un sentimento. La relazione è determinata da un bisogno del soggetto e mira alla soddisfazione di questo bisogno. Una volta soddisfatto il bisogno la relazione cessa e si dice che la Gestalt è terminata. Anche nel campo dei sentimenti e delle emozioni personali si può riscontrare questa stessa modalità. Il bisogno in primo piano, sia esso quello della sopravvivenza o semplicemente un qualsiasi bisogno fisiologico o psicologico è comunque quello che preme con maggiore urgenza per il proprio appagamento.
Perls, appropriandosi in termini operativi dei concetti esposti sopra insiste soprattutto sul fenomeno della Gestalt non terminata come spiegazione del disagio psichico e sul concetto di integrazione come vera e radicale modalità terapeutica.

Scrive P. Baumgardner: “la terapia della Gestalt è un modo di occuparsi di un altro essere umano per dagli la possibilità di essere sè stesso, saldamente ancorato nel potere che lo costituisce, la terapia della Gestalt è una terapia esistenziale e si occupa quindi dei problemi creati dalla nostra paura di assumerci le responsabilità di ciò che siamo e di ciò che facciamo. E’ stato infatti sviluppato un procedimento terapeutico che, nella teoria della terapia della Gestalt e nella sua pratica, evita l’uso dei concetti. Egli distingue il procedimento terapeutico da quello del parlare intorno a qualcosa e delle problematiche morali lasciandoci lavorare con i dati, con i comportamenti osservabili che costituiscono il fenomeno invece che con ipotesi razionali. Queste differenziazioni sono di primaria importanza nella terapia della Gestalt, che si occupa quindi e si serve di ciò di cui abbiamo esperienza piuttosto che di ciò che è frutto del nostro pensiero. Il terapeuta della Gestalt deve perciò creare una situazione particolare: deve diventare il catalizzatore che facilita la presa di coscienza da parte del paziente riguardo a ciò che c’è nel presente, frustrandone i vari tentativi di fuga. Questa necessaria frustrazione, se non sapientemente dosata, può risultare, per alcuni tipi psicologici, particolarmente fastidiosa e può esitare in drop-out terapeutici.

Pears introduce, come abbiamo visto, come base del suo lavoro teorico la parola Gestalt e ne considera due tipi: la Gestalt completa o intera e la Gestalt in formazione. Parlando così della Gestalt come dell’unità finale di esperienza, esperienza riguardante prevalentemente la consapevolezza. A questo proposito le nozioni basilari che utilizzeremo sono quelle di bisogno e di situazione incompiuta e delle interrelazioni tra le due. Se le esigenze dell’organismo sono soddisfatte, attraverso il dare e ricevere dall’ambiente, la Gestalt è completa e la situazione compiuta. La consapevolezza del bisogno diminuisce, scompare ed emergono altri bisogni. L’organismo è pronto ad affrontare un’altra situazione incompiuta con le energie connesse alle nuove esigenze emergenti.

Lo scopo della terapia della Gestalt è quello di recuperare le parti perdute della personalità. Le nostre esperienze e le nostre funzioni rifiutate possono essere recuperate. Questo procedimento di riprendere, reintegrare e sperimentare di nuovo è il campo della psicoterapia. Il terapeuta viene coinvolto, insieme al paziente, nel processo di riappropriazione di tali sensazioni e comportamenti abbandonati  fino a che il paziente comincia, continuando poi per proprio conto, ad affermare sè stesso e ad agire nei termini della persona che vuole essere realmente.

Dott. Donato Saulle

dipendenze Psicologo Milano

blu psicologo milanoFonti:
Zerbetto Riccardo, “La Gestalt. Terapia della consapevolezza”, Milano, Xenia, 1998
Perls Fritz, Baumgardner Patricia, “Terapia della Gestalt. L’eredità di Perls – Doni dal lago Cowichan”, Roma, Astrolabio, 1983
Pessa Eliano, ”Reti neurali e processi cognitivi”, Roma, Di Renzo Editore, 1993
Immagine: Rob Gonsalves- Sun Sets Sailblu psicologo milano

TERAPIA DELLA GESTALT

Fritz Perlsblu psicologo milanoTag: terapia della Gestalt

BIBLIOGRAFIA
Abbagnano Nicola, Foriero Giovani, “Filosofi e filosofie nella storia”, Volume Secondo, Torino, Paravia, 2000
Arcuri L. (a cura di) “Manuale di Psicologia Sociale”, Bologna,Il Mulino, 1995
Baddeley Alan, “La memoria umana – Teoria e pratica”, Bologna, Il Mulino, 1992
Bateson Gregory, “Verso un’ecologia della mente”, Milano, Adelphi, 1976
Berne Eric, ”Ciao! … E poi? La Psicologia del destino umano”, Milano, Bompiani, 2004
Burley Todd & M.C. Freier, “Character Structure: A Gestalt-Cognitive theory”, Psychotherapy: Theory, Research, Pratice, Training, Vol. 41, 2004
Clarkson Petruska, “Gestalt – Per una consulenza psicologia proattiva nella relazione d’aiuto”, Roma, Sovera, 1999
Dal Pra Ponticelli M. “Lineamenti di servizio sociale”, Roma, Astrolabio, 1987
Del Favero Renato, “La psicoterapia della Gestalt”, Firenze
Del Favero Roberto, Palomba Maurizio “Identità diverse”, Roma, Edizioni Kappa, 1996
Galimberti Umberto, “Psicologia”, Le Garzatine, 1999
Giusti Edoardo, “Ri-Trovarsi – Prima di cercare l’altro”, Roma, Armando editore, 1987
Ginger Serge, “La Gestalt”, Edizioni Mediterranee, 1990
Ginger Serge, Ginger Anne, “Gestalt, Terapia del Con-tatto emotivo”, Edizioni Mediterranee, 2004
Greenberg & Wanda Malcom, “Resolving Unfinished Business: Relating Process to Outcome”, Journal Of Consulting And Clinical Psychology, Vol. 70,No. 2, 406-416, 2002
Grinberg L., Sor D., Taback De Bianchedi E., “Introduzione al pensiero di Bion”, Raffaello Cortina Editore, 1993
Gruen Arno, “Il tradimento del Sé – La paura dell’autonomia nell’uomo e nella donna”, Milano, Feltrinelli, 1992
Harman Robert, Giusti Edoardo (a cura di), “La psicoterapia della Gestalt – Intervistando i Maestri”, Roma, Sovera, 1996
Holmes Jeremy, “La teoria dell’attaccamento – Jhon Bowlby e la sua scuola”, Raffaello Cortina editore, 1994
LeDoux Joseph, “Il cervello emotivo – Alle origini delle emozioni”, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004
Legrenzi Paolo, “Manuale di psicologia generale”, Bologna, Il Mulino, 1997
Kopp B. Sheldon, “Se incontri un Buddha per la strada uccidilo”, Roma, Astrolabio, 1975
May Rollo, “L’arte del counseling”, Roma, Astrolabio, 1991
Naranjo Claudio, “Teoria della tecnica Gestalt”, Roma, Melusina Edizioni, 1973
Naranjo Claudio, “Carattere e nevrosi – L’enneagramma dei tipi psicologici”, Roma, Astrolabio, 1996
Ouspensky D. Peter, “L’evoluzione interiore dell’uomo”, Roma, Edizioni Mediterranee, 2004
Ouspensky D. Peter, “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, Roma, Astrolabio, 1976
Perls Fritz, Baumgardner Patricia, “L’eredità di Perls – Doni dal lago Cowichan”, Roma, Astrolabio, 1983
Perls Fritz, “L’Io, la fame, l’aggressività”, Milano, Franco Angeli, 2003
Perls Fritz, Hefferline R.F., Goodman Paul, “Teoria e pratica della terapia della Gestalt”, Roma, Astrolabio, 1971
Pessa Eliano, ”Reti neurali e processi cognitivi”, Roma, Di Renzo Editore, 1993
Rossi Oliviero (a cura di), “Spiritualità e psicoterapia della Gestalt – Intervista ad Antonio Ferrara”, IN-formazione, Psicologia, Psicoterapia, Psichiatria, (in corso di stampa)
Tchechovitch Tchesslav, “Tu l’amerai – Ricordi di G.I.Gurdjieff”, Roma, Ubaldini Editore, 2004
Spagnolo Lobb Margherita, “Dizionario di Scienze dell’educazione”, Torino, SEI Edizioni, 1977
Spagnuolo Lobb Margherita, “La Psicoterapia della Getsalt in Italia – Letter from Italy”, International Gestalt Journal, vol. 27, No. 1, 2004
Verruca Gianfranco, “Invito allo Psicodramma classico”, Milano, Maieusis, 2001
Wagner-Moore Laura E., “Gestalt Therapy: Past, Present, Theory, And research”, Psychotherapy: Theory, Research, Pratice, Training, Vol. 41, No. 2, 180-189, 2004
Watzlawick Paul, Helmick Beavin, D.Jackson , “Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabia, 1971
Watzlawick Paul, “Il linguaggio del cambiamento – Elementi di comunicazione terapeutica”, Milano, Feltrinelli, 1995
Zerbetto Riccardo, “La Gestalt. Terapia della consapevolezza”, Milano, Xenia, 1998
Zerbetto Riccardo, “Il logos ama nascondersi (Eraclito). A maniera di Epilogo” (contributo al libro di Claudio Naranjo su Gestalt De Vanguardia), Ed. La LLave, 2003
References
Balint, M. (1968). The basic fault: Therapeutic aspects of regression. London: Tavistock.
Bauer, P. (1996). What do infants recall of their lives? Memory for specific events by one- to two-year-olds. American Psychologist, 51, 29-41.
Bauer, P., Hertsgaard, L., & Dow, G. (1994). After 8 months have passed: Long-term recall of events by 1- to 2-year old children. Memory, 2(4), 353-382.
Beebe, B., Lachmann, F., & Jaffe, J. (1997). Mother-infant interaction structures and presymbolic self- and object representations. Psychoanalytic-Dialogues, 7(2), 133-182.
Belsky, J., Spritz, B., & Crnic, K. (1996). Infant attachment security and affective-cognitive information processing at age 3. Psychological Science, 7(2), 111-114.
Bowlby, J. (1969). A secure base: Clinical applications of attachment theory. London: Routledge.
Bowlby, J. (1980). Attachment and loss: Vol. 3. Loss. New York: Basic Books.
Boyer, M., Barron, K., & Farrar, J. (1994). Three-year-olds remember a novel event from 20 months: Evidence for long-term memory in children? Memory, 2(4), 417-445.
Burley, T. D. (1981, August). A phenomenological theory of personality. In T. D. Burley (Chair), Recent advances in Gestalt therapy. Symposium at the 89th Annual Convention of the American Psychological Association, Los Angeles, California.
Davis, G. C., & Breslau, N. (1994). Post-traumatic stress disorder in victims of civilian trauma and criminal violence. Psychiatric Clinics of North America, 2, 289-300.
Gaensbauer, T. (1995). Trauma in the preverbal period: Symptoms, memories, and developmental impact. Psychoanalytic Study of the Child, 50, 122-149.
Greenberg, E. (1999). Commentary on Norman Shub’s “Character in the Present.” Gestalt Review, 3(1), 78-88.
Gunzenhauser, N. (1987). Infant stimulation: For whom, what kind, when, and how much? Johnson & Johnson Baby Products Company Round Table Series, 13, 52-53.
Hayne, H., & Findlay, N. (1995). Contextual control of memory retrieval in infancy: Evidence for associative priming. Infant Behavior and Development, 18, 195-207.
Jones, C., Griffiths, R. D., Humphris, G., & Skirrow, P. M. (2001). Memory, delusions, and the development of posttraumatic stress disorder-related symptoms after intensive care. Critical Care Medicine, 29, 573-580.
Kahneman, D. (2002). Maps of bounded rationality: A perspective on intuitive judgment and choice [Nobel prize lecture]. Retrieved February 2, 2004, from
Larson, C. (1998). Cultural premises in persuasion. In Persuasion: Perception and responsibility. New York: Wadsworth.
McDonough, L., & Mandler, J. (1994). Very long-term recall in infants: Infantile amnesia reconsidered. Memory, 2(4), 339-352.
Nelson, K. (1994). Long-term retention of memory for preverbal experience: Evidence and implications. Memory, 2(4), 467-475.
Paley, J., & Alpert, J. (2003). Memory of infant trauma.. Psychoanalytic Psychology, 20(4), 329-347.
Perls, F., Hefferline, R., & Goodman, P. (1951). Gestalt therapy: Excitement and growth in the human personality. Highland, NY: Gestalt Journal Press.
Piaget, J. (1952). The origins of intelligence in children. New York: International Universities Press.
Rescorla, R. A., & Wagner, A. R. (1972). A theory of Pavlovian conditioning: Variations in the effectiveness of reinforcement and nonreinforcement. In A. H. Black & W. F. Prokasy (Eds.), Classical conditioning. II: Current research and theory. New York: Appleton-Century-Crofts.
Rochat, P., & Hesbos, S. (1997). Differential rooting response by neonates: Evidence for an early sense of self. Early Development and Parenting, 6(2), 105-112.
Rovee-Collier, C. (1996). Shifting the focus from what to why.. Infant Behavior and Development, 19, 385-400.
Rovee-Collier, C. (1997). Dissociations in infant memory: Rethinking the development of implicit and explicit memory. Psychological Review, 104, 467-498.
Rovee-Collier, C., Evancio, S., & Earley, L. (1995). The time window hypothesis: Spacing effects.. Infant Behavior and Development, 18, 69-78.
Schacter, D. (1995). Implicit memory: A new frontier for cognitive neuroscience. In M. Gazzaniga (Ed.), The cognitive neurosciences (pp. 815-824). Cambridge, MA: MIT Press.
Sheffield, E., & Hudson, J. (1994). Reactivation of toddlers’ event memory.. Memory, 2(4), 447-465.
Shub, N. (1999). Character in the present: Why Gestalt therapy is particularly helpful for treating character-disordered clients. Gestalt Review, 3(1), 64-78.
Squire, L. (1986). Mechanisms of memory.. Science, 232, 1612-1619.
Szasz, T. (1981). The myth of mental illness. In O. Grusky & M. Pollner (Eds.), The sociology of mental illness (pp. 45-54). Austin, TX: Holt, Rinehart & Winston.
Tedstone, J. E., & Tarrier, N. (2003). Posttraumatic stress disorder following medical illness and treatment. Clinical Psychology Review, 23, 409-448.
Tulving, E. (1985). How many memory systems are there?. American Psychologist, 40, 385-398.
Underwood, B. (1969). Attributes of memory.. Psychological