CONCLUSIONI
La modalità creativa e sperimentale con cui Perls affrontava il ruolo di terapeuta, il suo aderire pienamente, con una presenza totale, alla realtà dinamica del momento, facevano sì che vi fosse in lui scarsissimo interesse a fare delle sue intuizioni una scuola e ancor meno una teoria sistematica.
Era più un terapeuta che sperimentava e cercava soluzioni cliniche “sul campo”, cercando modalità creative, che un teorico.
I suoi seguaci si sono trovati perciò a fare l’esperienza di un approccio empirico di efficacia terapeutica, ma erano in difficoltà a riesprimerlo e a definirlo con categorie logiche sistematizzanti.
A decenni ormai dalla sua morte, possiamo tirare un bilancio della sua terapia.
Per cominciare non bisogna dimenticare che Perls è diventato un terapeuta della Gestalt dopo lunghi anni di preparazione e formazione nel campo della psicoanalisi (dalla quale ha attinto, magari rinominandoli, molti concetti) e dopo 20-25 anni di pratica.
Si può dire quindi, che un punto di partenza è la necessità di avere una formazione accademica e la conoscenza, approfondita, delle diverse scuole e teorie che la psicologia ha proposto nel corso degli anni.
Una visione della Gestalt
come arte e non come terapia, non ha giovato alla teoria della Gestalt e ha portato allo svilimento di questo approccio, che invece presenta punti di forza e coerenze teoriche più spesse di quello che generalmente si pensa.
Inoltre il tema della Gestalt non terminata è decisamente molto importante; va a connotare un fenomeno cardine come la nevrosi ed è un punto che può essere proficuamente sviluppato.
In questo caso l’applicazione di Perls mi sembra lineare, coerente e quindi fondamentalmente legittima.
Marie Petit
riassume in questi termini la questione:
“Gli psicologi della teoria della Gestalt avevano, con numerose esperienze, messo in evidenza l’influenza di un compito non finito sulla memorizzazione e il comportamento.
Ecco alcune loro conclusioni:
lo shock emozionale prodotto dalla interruzione di un compito lo fa rimanere a lungo nella memoria, mentre esso è rapidamente dimenticato quando viene terminato in modo soddisfacente.
Un compito non finito è, nella maggior parte dei casi, ripreso spontaneamente.
Questo ha come risultato di dissipare la tensione che accompagna la sua interruzione.il sostituire con un’attività di sostituzione il compito interrotto, permette di evacuare parzialmente la tensione.
L’osservazione clinica
permette di estendere queste conclusioni al dominio affettivo:
una Gestalt non terminata trascina con sé una serie di comportamenti ripetitivi che hanno come scopo di spingerla verso la conclusione.
Questa ricerca di completezza che nella maggior parte dei casi è dolorosa, può avere momentaneo sollievo mediante un’attività o un comportamento di sostituzione.
Il carattere
Le Gestalt non terminate influenzano in maniera determinante ciò che viene chiamato correntemente il “carattere”.
La maggior parte dei comportamenti che ci permettono di definire qualcuno come timido, collerico, sensibile ecc. si possono considerare dei tentativi, giocati su un medesimo registro, per completare delle Gestalt non terminate”.
“Charter stucture: A Gestalt-Cognitive Theory”
Questo punto è stato approfondito recentemente, in modo preciso e molto interessante, da Todd Burley e da M.C.Freier, nello studio “Charter stucture: A Gestalt-Cognitive Theory” che:
“descrive un modello Gestaltista della struttura e della funzione del carattere, dal punto di vista della teoria processuale della Gestalt, in coordinazione con il concetto di memoria procedurale di E. Tulving interno alla psicologia cognitiva e dello sviluppo”.
La ricerca contemporanea sullo sviluppo è utilizzata per chiarire che il carattere si sviluppa come un sistema operativo. Questo sfondo teorico rende possibile una descrizione di come funziona il carattere, e ha delle implicazioni per il cambiamento creativo in psicoterapia.
Nell’articolo sono forniti esempi della applicazione di questa formulazione”.
Volendo tentare una conclusione mi sembra di poter dire che vi è certamente uno stacco, una distanza tra la pratica terapeutica e la teoria.
Tra le intuizioni di Perls e il modello teorico in cui sono state racchiuse.
Mi sembra che questo modello teorico possa essere riespresso e forse reinventato alla luce delle nuove correnti psicoterapeutiche.
Abbiamo visto come la moderna ricerca abbia apportato significativi passi avanti, nell’integrazione della teoria della Gestalt, con modelli cognitivi e con le teorie dello sviluppo caratteriale e dell’attaccamento.
Tuttavia il problema di un modello teorico sufficientemente esaustivo è comune un po’ a tutte le forme attuali di psicoterapia.
Vi è una prassi che anticipa la sistematizzazione.
E forse è giusto che sia così, in un campo dove l’evoluzione continua, della cultura e degli schemi sociali ed economici, rende assurde teorizzazioni definitive su concetti, così vasti e omnicomprensivi, come benessere, salute, disagio psichico e terapia.
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