IL LAVORO SUL SOGNO
Un giorno Perls, parafrasando Freud, disse che il sogno è “la via regia all’integrazione”.
Per capire la pregnanza di quest’espressione dobbiamo richiamare alcuni concetti generali. Come abbiamo già detto, la terapia della Gestalt non è interpretativa.
Essa è integrativa; mira a completare una consapevolezza che esiste in forma parziale e frammentata riempiendone i vuoti.
Non si propone di dare una spiegazione causale dei fatti, bensì di arrivare alla comprensione di un processo attivo, qui e ora, immedesimandosi nel processo stesso.
La terapia della Gestalt constata sempre che la persona non è mai del tutto armonica e integrata e che, parallelamente, la consapevolezza di parti di sé è mancante.
Questa consapevolezza non è relegata in un supposto deposito irraggiungibile ma, di per sé, è raggiungibile attraverso esercizi adeguati. Che non sia mai del tutto raggiunta è conseguenza logica del fatto che la personalità non è mai del tutto integrata.
In altre parole il comportamento inconsapevole può essere spiegato come l’effetto di un organismo che non è mai in contatto con l’ambiente esterno, perché è immerso nel suo proprio sfondo (l’ambiente interno) o nelle sue fantasie.
Il sogno
Premesso tutto questo, il sogno è una delle tante espressioni della personalità, come il linguaggio, come la produzione artistica, come il ragionamento, come il fantasticare.
A differenza però di tutte queste cose, esso è carico di una spontaneità totale. E’ in assoluto il nostro prodotto più spontaneo.
Ci parla dunque, in modo tipico della personalità che lo produce. E poiché la personalità si suppone in maniera maggiore o minore, frammentata, divisa, anche il sogno porterà in sé questa caratteristica e ci parlerà della personalità accumulando insieme elementi eterogenei che non hanno sempre un chiaro rapporto tra loro.
Il sogno, dunque, diventa una rappresentazione di noi come ci siamo costruiti nel tempo e di come esistiamo; diventa un messaggio esistenziale di noi stessi a noi stessi. Un messaggio su come esistiamo, su come siamo fatti, su uno o più aspetti di noi stessi. Spessissimo è un messaggio su una parte di noi che non riconosciamo o che non vogliamo riconoscere – su una nostra parte mancante.
Quando il messaggio è urgente o drammatico può prendere la forma di un incubo.
Quando il sogno è ricorrente è segno che sta dicendoci qualcosa che non vogliamo, o meglio, che non vogliamo affrontare nella vita di ogni giorno.
Che dobbiamo fare dunque di questo messaggio esistenziale?
Risponde Perls:
“tutte le diverse parti del sogno sono frammenti della nostra personalità.
Dato che il nostro scopo è di fare di ognuno di noi una persona sana, il che significa una persona integrata, senza conflitti, quel che dobbiamo fare è rimettere insieme i vari frammenti del sogno.
Dobbiamo riappropriarci di queste parti proiettate e frammentate della nostra personalità e riappropriarci del potenziale nascosto che compare nel sogno”.
Ma come? Non certo interpretandolo ovviamente, ma ridandogli vita, calandosi nuovamente in esso, riconoscendo che è qualcosa di nostro e quindi è ancora vivo, è ancora in azione, attende ancora che noi ce ne appropriamo, che lo com-prendiamo, cioè che lo prendiamo con noi.
Naranjo scrive:
”comprendere, in questo contesto, si riferisce all’esperienza diretta del contenuto del sogno piuttosto che a un’influenza intellettuale, nello stesso modo in cui la consapevolezza è in opposizione a un insight intellettuale.
La strada per la consapevolezza, anche qui, è lasciare che l’esperienza parli per sé stessa piuttosto che pensare ad essa, entrare nel sogno piuttosto che portarlo alla mente.
Di conseguenza è importante che il sogno non solo sia ricordato, ma riportato in vita.
Solo facendone l’esperienza ora, possiamo guadagnare la consapevolezza di ciò che ci sta comunicando.
E’ consigliabile perciò cominciare narrando il sogno al tempo presente, come se stesse accadendo in questo momento.
Il semplice cambiamento nella verbalizzazione, implicata dall’uso del tempo presente invece che nel passato, può essere sufficiente per apportare una grande modifica nel processo di ricordare che ora, in un certo grado, diventa un ritorno al sogno e ai suoi sentimenti che si accompagnano alla fantasia”.
Concretamente il paziente è invitato ad elencare ogni persona, ogni oggetto del sogno e ad impersonarlo:
“ diventa il gatto nero che ti ha attraversato la strada. Fallo esprimere, lascialo parlare…”
“ diventa la porta che si apre lentamente cigolando…”
“ diventa tuo padre che ti sta guardando con volto severo…”
In genere è proprio identificandosi con le parti che sembrano più estranee, più ridicole e fuori luogo che la persona fa le scoperte più preziose su di se.
Il passo successivo consiste di solito nel fare incontrare ciascuno di questi personaggi o oggetti e di farli dialogare tra di loro. E’ a questo punto che si può produrre una integrazione tra parti di sé prima ignorate o ripudiate e proiettate all’esterno.
Il sogno poi, è un occasione unica per scoprire i vuoti della personalità, i suoi buchi, i suoi punti critici sono rappresentati, spesso, dalle parti mancanti del sogno, ma anche, e soprattutto, dai momenti di impasse e di confusione.
E qui la creatività di Perls si è davvero sbizzarrita. Egli suggerisce ad esempio di riempire i vuoti con la fantasia inventando, lì per lì, un completamento.
Se il sogno si interrompe prima della conclusione, egli suggerisce di inventare una conclusione e di riviverla come fosse quella reale.
Se poi qualcuno, sistematicamente, non ricorda i suoi sogni egli è arrivato a suggerirgli di parlare con il sogno dimenticato o assente.
Un brano tratto da “L’eredità di Perls”
Fritz : Mi piacerebbe avere qualcuno con dei sogni ora.
(A Marty). Tu non sogni?
Marty : Si, faccio dei sogni ma non me li ricordo mai
Fritz : Va bene. Siediti. Fai un incontro con i tuoi sogni. Comincia: “Sogni non ricordo”
Marty : Sogni, non vi ricordo.
Fritz : Cambia sedia. Ora tu sei i sogni dimenticati
Altre volte suggerisce al paziente di raccontare di nuovo il sogno, ma intervallando ogni frase a senso compiuto con un’espressione del tipo “e questa è la mia vita…”
A detta di molti terapeuti, non solo gestaltisti, questa tecnica può spesso portare a una presa di coscienza importante e a volte decisiva.
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