I FONDAMENTI EPISTEMOLOGICI DELLA PSICOTERAPIA DELLA GESTALT
La vita di Perls, come vedremo, è stata una sintesi continuamente rinnovata e rivitalizzata da un insieme vastissimo di esperienze umane sempre nuove e sempre diverse.
La stessa cosa possiamo dire della sua terapia, in quanto sarebbe molto difficile precisare quanto questo suo approccio terapeutico, deve a questa o a quella filosofia, a questa o a quella scuola.
Si tratta di una sintesi, in larga parte originale, che fonde insieme intuizioni e istanze provenienti da molti settori diversi come;
l’Esistenzialismo,
la Psicoanalisi,
la Psicologia della Gestalt,
lo Zen e altre filosofie orientali oltre ad alcune intuizioni di Moreno, Rogers, Berne e Reich.
Nei suoi scritti Perls, pur citando le persone che hanno avuto influenza sul suo pensiero, non si è mai preoccupato di precisare che cosa esattamente aveva preso dall’uno o dall’altro.
E’ più facile quindi inquadrare la terapia della Gestalt a posteriori, inquadrandola storicamente.
Cominciando con il considerarla una parte importante della Psicologia Umanistica che, com’è noto, si rifà alle concezioni di Maslow, Rogers, Rollo May, ma che in realtà è diventata il polo di aggregazione di idee e di correnti che hanno, rispetto alla Psicoanalisi classica, una presa di distanza che comunque non è mai contrapposizione frontale, ma piuttosto esigenza di integrazione, superamento in una concezione più vasta.
L’orientamento psicodinamico
Storicamente negli anni ’50 – ’60 l’orientamento è di tipo psicodinamico: il disturbo psichico è considerato in termini biomedici, anche per le innovazioni farmacologiche del momento.
Contemporaneamente è riconosciuta l’inadeguatezza dei manicomi.
In questo periodo nascono nuovi modelli di riferimento; sociogenetici, comportamentali, umanistici, esistenziali, e nuove psicoterapie: brevi, familiari, di gruppo, con tecniche differenti legate ai differenti disturbi.
In generale vi è una maggiore attenzione alla storia familiare, evolutiva, agli schemi adattivi messi in atto.
Teoria basata sulla nozione di “campo relazionale”
Sullivan, nel 1954, propone una teoria basata sulla nozione di “campo relazionale”,
secondo la quale la personalità individuale è un prodotto dell’interazione di campi di forza interpersonali, di contesti relazionali non solo reali ma anche immaginari, che agiscono come “personificazioni” interiori anche in situazioni di isolamento.
In quest’ottica il rapporto medico-paziente non è più concepito secondo lo schema sano-malato, ma come un tentativo di reciproca comprensione nel quale il terapeuta sviluppa un maggiore atteggiamento empatico e riconosce l’importanza delle determinanti ambientali e sociali.
Principali esponenti della psicologia umanistica
Tra i principali esponenti della psicologia umanistica troviamo inoltre:
– Abraham Maslow, che si è concentrato sullo studio della personalità sana;
– Rollo May attento all’essere e al suo divenire;
– Viktor Frankl che ha sottolineato l’importanza di dare un senso alla propria vita;
– Roberto Assagioli che ha dato attenzione alla componente spirituale dell’individuo.
Con la Terapia della Gestalt l’uomo è riportato al suo compito di datore di senso, di portatore di un progetto esistenziale che eventualmente deve essere aiutato a ricostruire ricavandolo dentro di sé;
da qui l’importanza data alla responsabilità personale, all’autodeterminazione, alla consapevolezza di sé.
Viene recuperato anche il valore dell’angoscia che non può più essere interpretata solo come fissazione nevrotica ma può assumere il valore di lucida consapevolezza del compito esistenziale.
E può scaturire da una ricerca di senso, da un bisogno di mettere in relazione individuo e trascendente, esistenza e destino, esistenza e senso della propria vita.
Queste sono alcune delle premesse generali, per quanto riguarda la terapia ciò che caratterizza l’approccio umanistico alla terapia si può così riassumere:
la psicoterapia viene demedicalizzata, la definizione di nevrosi slitta dal concetto di malattia al concetto di blocco di crescita, di sviluppo impedito.
I blocchi e le tensioni somatiche vengono esplorate attentamente come conseguenza e cristallizzazione del disagio psichico, come linguaggio da interpretare e soprattutto da ascoltare.
Oltre ad integrare il verbale con il corporeo, si tende a integrare la relazione con se stessi con la relazione all’ambiente e agli altri.
Il terapeuta diviene, prima che un guaritore, un facilitatore di crescita e persino il termine paziente viene da Rogers sostituito con quello di cliente.
Lo scopo della terapia
Lo scopo della terapia si definisce sempre di più in termini di sviluppo del potenziale umano, di attivazione di meccanismi bloccati e di aiuto alla autodeterminazione e alla autorealizzazione.
Non c’è più qualcuno che, dall’alto del suo sapere, interpreta e risolve i problemi di un altro.
C’è un addestramento all’indipendenza e all’autonomia, in cui non si utilizzano le conoscenze sulla natura psichica dell’essere umano per “far guarire” qualcuno,.
Si forniscono, direttamente, queste conoscenze a chi ne ha bisogno, affinché la persona possa poi comprendersi meglio e riequilibrarsi anche da sé.
Il compito del terapeuta
Sostanzialmente, il compito del terapeuta è di ridurre le costrizioni.
Costrizioni che limitano la realizzazione del più profondo potenziale del cliente e di incrementare la capacità di esplorazione interiore, innata, in ogni uomo.
Per Rogers, come per Perls, il cliente è invitato ad assumersi le responsabilità del proprio cambiamento e a raggiungere una più profonda consapevolezza dei suoi conflitti e dei suoi bisogni.
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