LA FIGURA E IL RUOLO DEL TERAPEUTA

Il terapeuta

Il ruolo del terapeuta, nella terapia della Gestalt, è strettamente legato a quelli che abbiamo descritto come obbiettivi della terapia stessa.

Egli dunque si pone come facilitatore di crescita.

Si propone di mettere il paziente in contatto con la realtà globale: interna ed esterna, fisica e ambientale.

Quindi si propone di partire dalla parte di consapevolezza che c’è già in lui e di stimolarlo ad allargarla e ad approfondirla.

E’ disposto ad aiutare il paziente a riaffrontare parti di sé che questi aveva respinto o sepolto per decidere se è interessato a recuperarle.

Consapevolezza

E’ pronto a far notare con puntualità al paziente quando egli è di fianco alla propria consapevolezza, quando è in fuga dalla realtà, quando è nella fantasia, nell’allucinazione, nella proiezione.

Propone al paziente di invertire i propri ruoli abituali, i comportamenti stereotipati, per appropriarsi anche di altre parti di realtà:

essere la figura ma anche lo sfondo, essere la luce ma anche la propria ombra.

Propone al paziente di sperimentare questi nuovi ruoli non in un futuro improbabile, ma nel presente, nello spazio protetto della stanza di terapia, magari inventando un copione e recitandoli alternativamente.

Si propone di fargli completare eventuali esperienze rimaste incompiute.

Di avvertirlo tutte le volte che, consapevole o no, cerca di evadere, di fuggire un problema, di non vedere l’ovvio.

Si propone di non dare giudizi di valore, ma di essere al servizio dei valori che il cliente sceglie se questi lo fa in modo chiaro e consapevole.

Mentre quello che non intende fare è di proporsi come schermo bianco su cui il paziente invia proiezioni e allucinazioni, non si propone in alcun modo di essere solo una presenza simbolica.

Al contrario si pone sempre come disponibile a dire dove è lui in quel momento, quali sono i suoi bisogni e anche i suoi pensieri, dove si trova con la propria consapevolezza.

Non si propone mai di prendere in carico il paziente, di consolarlo, di farsi commuovere dalle sue richieste di protezione, di assistenza e di spiegazioni rassicuranti.

Il suo atteggiamento in proposito è che il crescere, con l’inevitabile carico di dolore e di frustrazione che implica, è il compito esistenziale di ciascuno e che nel farlo ciascuno arricchisce il mondo con un proprio frammento di originalità.

Dunque non avrebbe senso, anzi sarebbe deplorevole, sostituirsi al paziente.

Arnol Beisser

Arnol Beisser scrive :

”Un terapeuta che cerca di aiutare un paziente ha abbandonato la posizione egualitaria per diventare l’esperto informato, con il paziente nel ruolo della persona sprovveduta, anche se la sua meta è la parità tra lui e il paziente.

Il terapeuta della Gestalt crede che la dicotomia Tiranno-Suddito esista già all’interno del paziente, con una parte che cerca di cambiare l’altra, e che il terapeuta deve evitare di trovarsi fissato in uno di questi ruoli.

Cerca di evitare questa trappola incoraggiando il paziente ad accettare entrambe le parti come proprie, una alla volta […]

La distinzione tra vero appoggio e aiuto è chiara: fare per l’altro ciò che è capace di fare da sé comporta che egli non divenga mai consapevole di potersi reggere sulle proprie gambe.”

In altre parole, il terapeuta gestaltista non ha valori per il paziente, se non quello radicale della autenticità, della non ambiguità, della congruità tra ciò che si dice e ciò che si fa.

Si tratta qui di una modalità relazionale più che di un valore.

Come non ha valori, così non ha progetti per il paziente.

Ha invece una pluralità di tecniche per aiutarlo a chiarire, a precisare i propri progetti, i propri valori.

Piuttosto che invaderlo con qualche tipo di messaggio superiore, fosse anche una acutissima interpretazione, preferisce essergli compagno di strada nel cammino confuso, contraddittorio e ripetitivo di diventare consapevole dei propri bisogni.

Piuttosto che cercare di cambiarlo lo incoraggia a strare dove si trova, a sopportare l’angoscia e la frustrazione quando giunge al punto critico, al punto detto dell’impasse, al punto cronico dell’autointerruzione.

Impasse

Perls parla di “impasse” ed è quello che Bion chiama “cambiamento catastrofico”.

In modo tipico le persone a questo punto sperimentano confusione, desiderio di aiuto e senso di vuoto.

I loro tentativi abituali di manipolare l’ambiente per ottenere appoggio, fingendosi sordi e muti, fraintendendo, piangendo, pretendendo, facendo i matti e adducendo pretesti non funzionano.

Se il terapeuta (o chiunque altro) entra nella manipolazione tentando di essere utile, riesce a mantenere l’altro in una posizione infantile.

Potenziare la crescita

Per raggiungere l’integrazione e potenziare la crescita, il paziente deve fare un duro lavoro.

Perls, in maniera più poetica, sostiene che l’essenza della terapia della Gestalt è nel permettere al paziente (attraverso la frustrazione) di scoprire che “può farcela da solo”.

Tutto quello che abbiamo detto finora ha a che fare con la frustrazione.

Saper usare con coraggio della frustrazione senza però negare né la propria attenzione né il proprio sostegno è il problema chiave del terapeuta.

Patricia Baumgardner riferisce che Perls le rispose un giorno che lei gli chiese di prendersi maggiormente carico dei suoi problemi:

“puoi contare sul mio amore, ma non sul mio sostegno”.

Ed essa così esprime la posizione della Gestalt:

“ la posizione della Gestalt in materia di “aiuto” è molto chiara: “mi assumo la piena responsabilità per me ma non mi prendo nessuna responsabilità per te”.

Perls afferma anche che: ”Assumersi responsabilità per un altro, interferire con la sua vita e sentirsi onnipotenti sono la stessa cosa…”

E’ evidente, comunque, che sono necessarie per un buon lavoro, delle qualità che un terapeuta non può non avere pena la non credibilità di ciò che propone.

Inevitabilmente deve essere una persona che ha già fatto su di sé un lavoro di integrazione, perché per chiedere autenticità deve offrire sufficiente autenticità in sé stesso.

Per entrare nell’intimità di una persona deve essere disponibile a lasciar guardare la propria intimità.

Deve avere un contatto con la realtà ampio, elastico, continuamente ripetibile. Questo vale in primo luogo per la sua realtà interna.

Deve saper attingere alle varie parti di sé; al proprio umorismo, all’intuizione, alle emozioni in genere.

La realtà esterna

Quanto alla realtà esterna;

per essere in grado di rinunciare coscientemente ad insegnare, ad imporre valori, ideologie, deve essere sufficientemente distaccato dalle proprie posizioni personali.

Capace di cogliere e capire senza giudicare.

E’ infine doveroso sottolineare, che il terapeuta che si permette, ad esempio, di odiare il paziente, respingere i suoi tentativi manipolatori di trasformarlo nel suo salvatore, mostrare la propria impotenza, accettare la possibilità di essere sconfitto, si espone a molti rischi.

Corre il rischio di essere rifiutato, odiato, abbandonato, aggredito, ma, come sostiene anche con una certa enfasi drammatica Perls (che era notoriamente uomo appassionato al dramma) e che in terapia non era certamente un santo né tantomeno un missionario; un terapeuta: “deve rischiare la sua vita e la sua reputazione se vuole arrivare a qualcosa di reale. I compromessi e la disponibilità non funzionano”.

E’ in definitiva questo il principio – che si colloca al centro del pensiero e dell’azione terapeutica della Gestalt – e quello per il quale molti terapeuti gestaltisti scelgono di rischiare critiche e reputazione. Per essere cioè coerenti con la propria idea di umanità, integrità, disponibilità e relazione.

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Dott. Donato Saulle

Psicologo Milano Donato Saulle
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Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito,6 (angolo Via Torino) – MILANO – Cell. 3477966388blu psicologo milano