SULLA MEMORIA E SULLA DIMENTICANZA – Le riflessioni di uno psicoanalista
SULLA MEMORIA E SULLA DIMENTICANZA – Le riflessioni di uno psicoanalista
Tutti i miei coetanei si lamentano della loro memoria che perde i colpi. Dimenticano i nomi, i numeri del telefono, impiegano una parola al posto di un’altra, quando vanno in cucina a prendere un bicchiere non sanno più che cosa ci sono andati a fare.
“Poco fa, figurati, una donna mi ha fermato per la strada, ha cominciato a parlare, mi ha chiesto notizie di mio figlio. Mi ci è voluto un quarto d’ora prima di riconoscerla, eppure conosco solo lei“.
Se fosse lì la ragion d’essere dell’indebolimento della memoria? “Conosco solo lei. Conosco solo lui.“ Gli individui fanno tutt’uno. Che sia questa o quello non fa più una grande differenza, le figure si confondono, come il tempo. Era ieri? Un anno fa? Di recente, tempo addietro? Una sola certezza: sono vite anteriori, senza ulteriori precisazioni.
Basta soltanto che questa indifferenzazione non sia il segno di indifferenza, dell’indifferenza a tutto ciò che non riguarda il proprio io – il mio sonno, il mio passato, i miei dispiaceri – che va così spesso di pari passo con la senescenza!
I nomi che sfuggono, il libro che non si riesce a ritrovare e che è là, sul tavolo, anch’io so di che cosa si tratta. Ma, colpito dallo stesso male, non ne soffro.
Trovo al contrario un certo piacere in queste dimenticanze involontarie, più che un deficit ci vedo il segno della nuova forma che ha preso la mia memoria.
E‘ un odioso registratore.
L’attenzione al momento non presenta problemi; la mia vigilanza è tale che sono convinto mi offra una garanzia illimitata contro l’oblio. E poi ecco che, come per magia, tutto si cancella alla stessa velocità con cui è stato impresso.
Passato il momento di irritazione, mi rallegro – o mi consolo – constatando che la mia memoria non è un archivio ben ordinato e che le sue defaillances lasciano il campo libero a un’altra memoria, una memoria che opera riavvicinamenti inattesi.
Cose successe in momenti della mia vita molto distanti l’uno dall’altro si ricongiungono per fondersi in uno solo: tante metamorfosi che tuttavia preservano un qualche cosa di un’identità che attraversa il tempo.
Molteplici volti si ricompongono in uno solo che prende i tratti di ciascuno di loro; delle storie si sovrappongono, delle emozioni apparentemente opposte – angoscia e giubilo -, unendosi acquistano una particolare intensità, come quella che ci procura la lettura di quei romanzi da cui non riusciamo a staccarci.
Una memoria molto simile alla fiction – e la fiction non è mai del tutto la stessa -, che è vicina al sogno, una memoria che, non trattenendo niente, ha la mobilità delle nuvole e che, nemica del vago, ha la precisione di una tavola di architettura? Una memoria dove il figurativo si coniuga con l’astratto!
Che la si possa qualificare memoria limbica non diminuisce il mio piacere. La sento viva, la sento animare i miei giorni come le mie notti. La so completamente mia e al contempo, non appartenermi.
Sto leggendo un romando di Martin Walser, Dorn. Interrompo la lettura, mi sento prigioniero, soffoco sotto un peso schiacciante, cerco un pò d’aria, poi la riprendo, affascinato. E‘ la storia di una memoria allucinata. E‘ il romanzo di una memoria costruita su un terreno in rovina.
Quando troviamo che la nostra memoria viene meno o che trattenga soltanto il necessario, giudichiamo eccessiva quella che trattiene tutto.
I medici la chiamano ipermnesia.
E se questa che non vuole perdere niente, o piuttosto non lasciar passare niente, e che, non considerando niente insignificante, registra tutto – nomi di persone, di città, di strade, la topografia di luoghi frequentati, anche solo per qualche ora, pasti consumati, vestiti acquistati,date esatte… inesauribile inventario – se questa memoria, vicina alla follia e a mille miglia dal sogno, avesse la funzione di scongiurare una catastrofe che è accaduta senza mai poter essere considerata un fatto compiuto, senza mai riuscire ad essere dietro di sè?
Penso a Georges Perec, alla sua instancabile ricerca non di ricordi ma di resti di memoria. Penso al film del suo amico Robert Bober, En remontant la rue Vilain, che esclude ogni possibilità di risalire alle origini.
La vita mi ha inflitto, come a tutti, delle ferite. Ma l’implacabile costrizione di costruirmi una memoria come un bastione da dover sempre rinforzare contro i carnefici e gli assassini mi è stata risparmiata.
“I predatori notturni rientrano nelle loro tane. Il muso puntato verso l’esterno, pronti a balzare sulla loro preda che è lì, invisibile e sempre lì.“
Louis-Renè des Foréts, Ostinato
Brano di J.-B. Pontalis tratto da: “Limbo. Un piccolo inferno più dolce”, Raffaello Cortina Editore, 2000Jean-Bertrand Pontalis
Filosofo, psicanalista e psicoterapueta francese.
Laureatosi in Filosofia, allievo di Sartre, con quest’ultimo ha collaborato alla rivista Les temps modernes, avvicinandosi successivamente alla psicanalisi dopo avere intrapreso un’analisi con J. Lacan.
Intorno agli anni Sessanta ha sviluppato con J.-L. Laplanche l’importante progetto di una sistematizzazione dei concetti fondamentali del pensiero freudiano e delle teorie psicanalitiche successive, da cui sarebbe scaturito l’imprescindibile Vocabulaire de la psychanalyse (1967; trad. it. 1968), opera che ottenne enorme successo in Francia e venne tradotta in diversi Paesi. Distaccatosi dalle teorie di Lacan, P. è divenuto una figura cardinale del movimento psicanalitico francese.
Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito, 6 (angolo Via Torino) – MILANO
Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/jean-bertrand-pontalis/
Immagine: Locandina (modificata) del film “Gli anni luce” di A. Tanner