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PERCEZIONE 1

PSICOLOGIA DELLA PERCEZIONE – Le illusioni ottiche

La percezione

è il processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato.

Gli assunti relativi allo studio della percezione variano a seconda delle teorie e dei momenti storici. Da sempre l’uomo si è fatto delle domande circa la “realtà” che lo circonda. Abbiamo visto come per noi la realtà è sempre soggettiva e sempre ha necessità di essere condivisa almeno con un altro significativo al fine di evitare il deragliamento del pensiero e di realtà chiuse agli eventi, all’accadere della propria storia e agli altri. In questo scritto, tuttavia, vogliamo limitarci a esporre gli aspetti “meccanici” della percezione, questo pur all’interno della radice filosofica di F. Brentano (1874) che per primo gettava le basi per una psicologia fondata sull’atto, sulla consapevolezza, sull’intenzionalità, quest’ultima intesa come l’atto che rapporta il soggetto all’oggetto.

L’oggetto ha realtà sua propria, ma diviene esistente, in sede psichica, solo quando un atto rapporta ad esso l’essere umano, la psicologia dell’atto convoglia quindi l’attenzione verso il soggetto, verso il suo mondo e verso i dati immediati, qui ed ora, della sua esperienza.

La psicologia della percezione, anche chiamata psicologia della Gestalt che in tedesco significa “forma o configurazione” è una scuola teorica tedesca che nasce nel 1912, anno in cui Werthmeier pubblicò un articolo con i risultati di due anni di ricerche sul movimento apparente, condotte nell’Istituto di Psicologia di Francoforte.

Il motivo di questi studi era comprendere i meccanismi psichici che ci portano a interpretare la realtà, in questo scritto si prenderanno in considerazione solamente gli aspetti inerenti la percezione visiva degli oggetti e i motivi che portano a creare le “illusioni ottiche”.

Dunque è possibile operare una prima distinzione tra la sensazione legata agli effetti immediati ed elementari del contatto dei recettori sensoriali con i segnali provenienti dall’esterno e in grado di suscitare una risposta. La percezione corrisponde quindi all’organizzazione dei dati sensoriali in un’esperienza complessa ovvero al prodotto finale di un processo di elaborazione dell’informazione sensoriale da parte dell’intero organismo.

Con lo sviluppo degli studi sulla psicologia della percezione, il centro dell’indagine sui processi percettivi passa dalla precedente concezione elementaristica alla percezione come risultato di un’interazione e organizzazione globale di varie componenti. Prima di esporre le varie teorie che si sono occupate della percezione, è opportuno comprendere i processi che ne stanno alla base. Tali processi sono di due tipi: la categorizzazione e l’identificazione.

La categorizzazione è il processo mediante il quale si assegna un oggetto a una categoria. Ad esempio, un oggetto di forma sferica, liscio e con un picciolo in mezzo fa parte della categoria frutta. Dopo aver fatto questo dobbiamo “identificare l’oggetto”, ovvero dargli un nome. L’oggetto liscio e sferico col picciolo in mezzo si chiama mela (processo di identificazione). Sia la categorizzazione che l’identificazione richiedono processi cognitivi elevati, come ad esempio tutto ciò che sappiamo sull’oggetto, le impressioni che ci siamo fatti su di esso e così via.

Ci sono due tipi di stimoli che noi usiamo per crearci la nostra rappresentazione percettiva degli oggetti: lo stimolo distale e quello prossimale. Lo stimolo distale è ciò che noi percepiamo, la presenza fisica dell’oggetto. Lo stimolo prossimale è quello stimolo da cui noi dobbiamo ricavare informazioni per arrivare allo stimolo distale. Il fatto che la mela è rotonda, che ha il picciolo in mezzo etc., fanno tutti parte dello stimolo prossimale, perché grazie a queste informazioni io arrivo a capire che quella è una mela, quindi allo stimolo distale. In sintesi, il processo della percezione richiede che il sistema percettivo ricopi le informazioni contenute nello stimolo prossimale per crearsi la rappresentazione percettiva dell’oggetto, o stimolo distale. Tuttavia questo passaggio non avviene sempre in modo corretto: ogni tanto il sistema percettivo fa degli errori, e quindi ci fa sperimentare quelle che si chiamano illusioni.

Una illusione è una rappresentazione sbagliata che noi ci siamo fatti di un oggetto.

L’idea portante dei fondatori della psicologia della percezione è che il tutto fosse qualcosa di diverso e più complesso del risultato delle singole parti. Una idea della psicologia naturalmente diversa dalla matematica dove 2+2 fa 4, per un essere umano la costruzione razionale lineare e razionale delle cose è più complessa e non scientificamente collocabile, allo stesso modo in cui le caratteristiche di una società non corrispondono a quelle degli individui che la costituiscono. Da questo ragionamento nasce la famosa massima: “Il tutto è più della somma delle singole parti”.

Le teorie della psicologia della percezione si rivelarono altamente innovative, in quanto rintracciarono le basi del comportamento nel modo in cui viene percepita la realtà percettiva, anziché per quella che è realmente; quindi il primo pilastro delle teorie della psicologia della percezione fu costruito sullo studio dei processi percettivi e in una percezione immediata del mondo fenomenico.

Quello che noi siamo e sentiamo, il nostro stesso comportamento, sono il risultato di una complessa organizzazione che guida anche i nostri processi di pensiero. La stessa percezione non è preceduta dalla sensazione ma è un processo immediato, influenzato dalle passate esperienze solo in quanto queste sono lo sfondo dell’esperienza attuale, come combinazione delle diverse componenti di un’esperienza reale-attuale. La capacità di percepire un oggetto quindi deve essere rintracciata in qualcosa di più e di diverso e non banalmente solo ad una immagine focalizzata dalla retina.

Per comprendere il mondo circostante si tende a identificarvi forme secondo schemi che ci sembrano adatti, scelti per imitazione, apprendimento e condivisione e attraverso simili processi si organizzano sia la percezione che il pensiero e la sensazione ad esso associata; ciò avviene di solito del tutto inconsapevolmente.

Con particolare riferimento alle percezioni visive, le regole principali di organizzazione dei dati percepiti sono:
1. buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice);
2. prossimità (gli elementi sono raggruppati in funzione delle distanze);
3. somiglianza (tendenza a raggruppare gli elementi simili);
4. buona continuità (tutti gli elementi sono percepiti come appartenenti ad un insieme coerente e continuo);
5. destino comune (se gli elementi sono in movimento, vengono raggruppati quelli con uno spostamento coerente);
5. figura-sfondo (tutte le parti di una zona si possono interpretare sia come oggetto sia come sfondo);
6. movimento indotto (uno schema di riferimento formato da alcune strutture che consente la percezione degli oggetti).

Fondamentalmente possiamo dire che ciò che prima era stato considerato un processo passivo, il percepire, veniva ad essere pensato come qualcosa di gran lunga più attivo; come un’attività subordinata a certi principi organizzativi generali, in particolare le figure che emergono rispetto allo sfondo, ovvero l’oggetto e il suo contesto di riferimento che può poi essere paragonato al rapporto tra individuo e ambiente o contesto sociale e culturale.

Gli studi della psicologia della percezione hanno approfondito anche gli aspetti relativi al comportamento e all’apprendimento, partendo dalla conoscenza strutturale di alcuni schemi di pensiero è nato un modello psicoterapeutico definito “terapia della Gestalt” che sarà sviluppato in un prossimo scritto.

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Dott. Donato Saulle

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Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito, 6 (angolo Via Torino) – MILANO – Cell. 3477966388blu psicologo milanoFonti:
wikipedia.org
Daniel Levitin, “Foundations of cognitive psychology”.
Immagine: “Sailing Island” di Rob Goncalves

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LA PSICOLOGIA COGNITIVA – Il trattamento cognitivo dei disturbi emozionali

La Psicologia Cognitiva

si basa su indagini sperimentali e ha influenzato profondamente, negli ultimi decenni, la psicoterapia e la psicologia clinica.

E’ necessario fornire una definizione di sistema cognitivo.

Con il termine cognizione ci si riferisce a quelle funzioni che permettono all’organismo di raccogliere informazioni dal proprio ambiente, di analizzarle, valutarle, trasformarle per poi utilizzarle per agire nel mondo circostante. In termini finalistici ed evoluzionistici, la cognizione permette di adattare il comportamento dell’organismo alle esigenze dell’ambiente o di modificare l’ambiente in funzione dei propri bisogni. L’analisi delle funzioni cognitive, che sono: percezione, intelligenza, ragionamento, giudizio, memoria a breve e a lungo termine, rappresentazioni interne, linguaggio, pensiero, può essere condotta a livello strutturale quando si vogliono spiegare le “modalità” del funzionamento, o a livello “dinamico” quando si vogliono spiegare le ragioni di un certo funzionamento.

Quindi per sistema cognitivo si intende sia l’intera gamma di funzioni e meccanismi che permettono di elaborare pensieri, sia il contenuto dei pensieri medesimi.

La premessa alla base delle teorie cognitive e della psicologia cognitivista inerenti i disturbi emozionali è che una disfunzione deriva dall’interpretazione personale dei singoli eventi. I comportamenti e l’emergere dei sintomi connessi a tali interpretazioni personali contribuiscono inoltre al mantenimento del problema emozionale stesso.

Uno degli approcci più importanti della psicologia cognitiva si fonda sul principio che i “pensieri irrazionali” siano la fonte del disturbo emozionale e delle sue conseguenze comportamentali. I pensieri irrazionali consistono essenzialmente in imperativi (“devo”), comandi e presupposti che conducono a elaborazioni illogiche dei disturbi emozionali. Tali credenze vengono spesso rinforzate dalla società o dal sistema relazionale in cui è inserito il soggetto che ne soffre. Tali convinzioni e assunzioni diventano poi rappresentazioni relativamente stabili della coscienza immagazinata nel sistema di memoria e vengono chiamate “schemi”. Con il termine “schema” si indica una struttura che una volta attivata influenza il processo di elaborazione dell’informazione modellando le interpretazioni delle esperienze e condizionando il comportamento. I difetti di elaborazione dell’informazione nei disturbi emozionali si evidenziano nelle credenze, nelle distorsioni cognitive e nei pensieri automatici negativi del paziente ed è quindi opportuno che vengano sistematicamente confutate nel corso delle sedute terapeutiche.

La terapia cognitiva ha come fulcro il problema sintomatologico del paziente; il sintomo che porta in seduta. Il trattamento si ispira a un approccio empirico di collaborazione in cui paziente e terapeuta lavorano insieme, mossi da mentalità scientifica, con lo scopo di risolvere gli aspetti concreti del problema. Si presuppone quindi che l’uomo sia un essere fondamentalmente razionale. In questo modello non è previsto il concetto di inconscio che viene considerato un costrutto teorico non scientifico e che quindi, semplicemente, non esiste. Il monitoraggio continuo dei sintomi del paziente è un modo per verificare le ipotesi riguardanti i fattori che favoriscono il mantenimento dei problemi del paziente e per valutare gli effetti degli interventi terapeutici. Semplici esperimenti, sotto forma di strategie comportamentali, sono impiegati come mezzo per far comprendere al paziente l’approccio cognitivo e per testare pensieri e convinzioni disfunzionali. Gli esercizi da realizzare a casa sono una parte essenziale del trattamento, i pazienti, infatti, vengono incoraggiati a svolgere specifici compiti tra una sessione terapeutica e l’altra.

Nella psicologia cognitiva, la terapia è un trattamento guidato concettualmente, in accordo con la valutazione che il terapeuta fa del caso. Una vasta gamma di tecniche cognitive, interpersonali, comportamentali viene utilizzata a tal fine; molte di queste tecniche sono comunemente usate in altri ambiti clinici ma qui sono impiegate solo se si giustificano, all’interno della concettualizzazione cognitiva dei casi, come strumenti adeguati e utili. Queste procedure sono spesso proposte per scopi precisi e modificate in modo da massimizzare i cambiamenti cognitivi a livello di convinzioni o giudizi.

E’ possibile considerare la terapia cognitiva come un processo educativo, dove le nuove informazioni vengono proposte in maniera didattica, anche se la modalità principale di presentazione resta quella del metodo socratico, vale a dire una serie di domande volte a sondare la comprensione e l’esperienza del paziente e a rimodellare le sue interpretazioni e le sue credenze. Il dialogo socratico ha il vantaggio di instaurare un clima di collaborazione e permette di raggiungere una conoscenza dettagliata della “realtà interna” del paziente, primo, fondamentale traguardo verso l’effettiva modificazione dei contenuti mentali. Il metodo socratico consente al paziente di raggiungere una maggiore consapevolezza degli aspetti distorti nella elaborazione cognitiva e permettere all’individuo di occupare un ruolo attivo nella modificazione del suo comportamento e dei suoi pensieri.

La terapia cognitiva classica consiste in 10-15 sedute a cadenza generalmente settimanale, le sedute iniziali di un trattamento di psicologia cognitiva devono essere dedicate alla valutazione e alla concettualizzazione del caso, alla formalizzazione del rapporto con il terapeuta e all’introduzione del modello cognitivo. Con il progredire del trattamento, l’enfasi si sposta sulla modificazione dei comportamenti e delle cognizioni coinvolte nel mantenimento del disturbo. Nella fase iniziale l’attenzione è focalizzata sui sintomi che la terapia si propone di alleviare. Una volta alleviati i sintomi il trattamento può concentrarsi sulle cause sottostanti, concettualizzate come fattori di rischio in quanto predispongono a eventuali ricadute. La conclusione del lavoro segue un andamento graduale, in quanto al completamento delle sedute settimanali seguono alcune sedute di mantenimento più diluite nel tempo. Si consigliano, inoltre, controlli longitudinali a 6-12 mesi dal termine del trattamento, per accertare il mantenimento nel tempo dei vantaggi terapeutici. Questo come impostazione puramente teorica dal momento che, ovviamente, la specificità dei fattori individuali, l’eventuale cronicità del disturbo, la forza di eventuali benefici secondari sul disturbo primario, può richiedere modifiche allo schema proposto che inoltre non può essere applicato su disagi di struttura complessa e di natura organica.

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Dott. Donato Saulle

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Tratto da:
A. Wells, Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia – Ed. McGraw-Hill, Coll. Psicologia
https://www.youtube.com/watch?v=n1HlSezYyzs” target=”_blank”>The ACT Therapist

www.youtube.com/watch?v=n1HlSezYyzs
Tag: psicologia, psicologia clinica, psicologia cognitiva

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