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PRENDIMI L’ANIMA

PRENDIMI L’ANIMA

è un film del 2002 diretto da Roberto Faenza.

Pellicola biografica ispirata alla figura della psicoanalista russa Sabina Spielrein e al suo rapporto sia terapeutico che amoroso con Jung. Gli interpreti principali sono Emilia Fox e Iain Glen.

Trama
Marie e Fraser, due giovani studiosi, l’una francese e l’altro scozzese, fanno reciproca conoscenza mentre si trovano entrambi a Mosca per svolgere ricerche sulla vita della psicoanalista russa Sabina Spielrein. I due ricostruiscono insieme la vita di Sabina, a partire dal suo ricovero a Zurigo nel 1904 per una grave forma di isteria.

Qui la paziente conosce il giovane medico Carl Gustav Jung, che, mettendo in pratica i nuovi metodi di psicoanalisi sviluppati da Freud, riuscirà a guarirla.

Sabina comincia ad interessarsi di psicoanalisi lei stessa, e nasce così un’intensa relazione amorosa tra lei e Jung. Ma, constatato che il suo amato Carl, sposato e con due figli, pur innamorato è preda di dubbi morali, Sabina fa scoppiare uno scandalo. I due, infine, si separano.

Tematiche
Nel film è presente il quadro di Klimt Giuditta II (1909), che la Spielrein usa come esempio della propria idea di connubio fra Eros e Thanatos.

Distribuzione
Presentato in anteprima il 27 settembre 2002 al Siena Film Festival, è uscito nelle sale a cominciare dal 17 gennaio 2003.

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Dott. Donato Saulle

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Il presente post ha il solo scopo di divulgare il libro e il film da cui è stato tratto senza scopo di lucro.

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NELL’INCONSCIO DI JUNG

“Rendi cosciente l’inconscio
altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita
e tu lo chiamerai destino”
C. G. Jung

NELL’INCONSCIO DI JUNG

Carl Gustav Jung

Carl Gustav Jung, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista e antropologo Svizzero, nasce nel 1875 in un piccolo paese della Turgovia.

Cresciuto in un contesto fortemente religioso (il padre era un pastore protestante), si trovò sin da giovane ad affrontare il conflitto tra tradizione etico-religiosa e spinta individuale all’indipendenza e al giudizio.

Questo conflitto adolescenziale e giovanile ha lasciato tracce nello sviluppo maturo del suo pensiero, sempre conteso tra l’affermazione irriducibile dell’esperienza personale, non inquadrabile in nessuna “scienza” e la formulazione di una teoria psicologica e antropologica con pretese universali e “oggettive”.

Fu in ogni caso l’ambiente culturale della sua infanzia e adolescenza a renderlo per molto tempo sensibile ai valori della tradizione storica e a motivarlo nella ricerca di costanti universali (come l’inconscio collettivo e gli Archetipi) sottese all’esperienza individuale.

La sua vita non fu scandita da grandi avvenimenti esteriori, ma contraddistinta da una eccezionale intensità interiore e una profonda ricerca, anche spirituale, non convenzionale.

Tuttavia Jung non scrisse mai un’esposizione riassuntiva ed esaustiva del suo pensiero e lasciò che altri lo facessero per lui.

Nucleo centrale del pensiero di Jung

Il nucleo centrale del pensiero di Jung risiede in una immagine dell’essere umano come natura fondamentalmente sana e come complesso di forze in espansione, contraddittorie e tensionali e quindi di difficile armonizzazione, e tuttavia, è un essere umano, costituzionalmente portatore di una sua capacità di compensazione, individuazione e di riequilibrio implicita nella sua realtà inconscia.

I problemi e i disagi psicologici

I problemi e i disagi psicologici che una persona può incontrare nel corso della sua vita per Jung non sono causati tanto dagli avvenimenti della prima infanzia, quanto dal conflitto attuale, cioè dall’incapacità dell’individuo di adattarsi alle richieste del suo ambiente o di trasformarlo in base alle sue esigenze evolutive.

Quando questo conflitto inconscio appare alla persona insuperabile il comportamento regredisce a forme più arcaiche di funzionamento.

In questo movimento a ritroso la persona incontra i nodi irrisolti della sua esperienza passata e ne rimane bloccata.

Ma non emerge nessun nucleo patogeno fino a quando questo movimento regressivo non viene a sollecitare ricordi latenti e comportamenti che ripropongono uno schema di modalità infantili.

Modalità più fantastiche che razionali.

La ricerca delle cause del disagio allora non si rivolge esclusivamente al passato, bensì al presente e al futuro del soggetto e al suo progetto di vita che sarà determinato da questi schemi inconsci dove passato presente e futuro sono la stessa cosa.

Secondo Jung occorre lasciarsi invadere dall’inconscio non per perdersi nella sua infinitezza ma per allargare i confini della nostra psiche in un divenire continuo.

Divenire che realizza la coesistenza dei contrari che ci dividono: razionalita e irrazionalità, introversione ed estroversione.

In ogni caso non è l’eliminazione dell’oscuro, dell’irrazionale il fine di una psicoterapia quanto la sua armonica integrazione.

Per Jung nel sintomo sono già insite le indicazioni terapeutiche in quanto, in un certo senso, già il sintomo è un tentativo di adattamento.

Si tratta, allora, nella cura, di assecondare le tendenze vitali del paziente, seguendolo per i sentieri, talvolta assai tortuosi, della sua autorealizzazione.

In questo compito lo psicoterapeuta non è solo un testimone distaccato bensì è partecipe, con il suo stesso inconscio, nel processo terapeutico.

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Tratto da:
S.V. Finzi, Storia della psicoanalisi – Mondadori
U. Galimberti, Psicologia – Garzanti
Tags: Inconscio, Jung

IL DESIDERIO DELL’ALTRO – Nel linguaggio di Lacan

“Il linguaggio,
prima si significare qualcosa,
signfica per qualcuno.
J. Lacan

Jaques Lacan

noto pensatore francese, è stato psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista e soprattutto filosofo.

La psicoterapia, sostiene Lacan, non può dire tutto di tutto ma è una esperienza di parola. L’oggetto quindi non è più l’inconscio ma le produzioni discorsive all’interno di una situazione comunicativa estremamente delimitata.

“L’inconscio è strutturato come un linguaggio” è la parola d’ordine con la quale Lacan inaugura il suo pensiero. L’essere umano è quindi determinato dal linguaggio (è un animale in preda al linguaggio) o, in altri termini, è determinato dall’inconscio, che non ha più una dimensione individuale ma, come il linguaggio, è transindividuale, impersonale. Per indicare la collocazione comune all’inconscio e al linguaggio, Lacan inserisce il termine Altro, non inteso come uomo ma come luogo; “luogo di dispiegamento della parola”, altro da sè. L’esteriorità del simbolico rispetto all’essere umano è la nozione stessa di inconscio ed il senso del decentramento operato da Lacan.

Per essere riconosciuto nell’ambito della sua comunità come soggetto, la persona deve sottomettersi alla legge sociale veicolata dal simbolismo linguistico, dal nome di parentela. Questo è il percorso che interessa Lacan: l’evoluzione dall’animale biologico all’umanizzazione del soggetto umano.

Il dramma della follia si situa per Lacan, nella relazione del soggetto con il significante, è l’effetto finale della mancanza di simbolizzazione. Come tale la follia è una virtualità permanente per ogni essere umano. Nulla infatti garantisce l’armonia dell’individuo con l’Altro che lo fa tale, se non il costante processo di soggettivazione. Ricostruendo, attraverso la psicoterapia, la sua storia al di fuori delle lusinghe narcisistiche dell’autobiografia, il soggetto riordina le contingenze passate attribuendo loro il senso di necessità future. Connettendo passato e futuro la storia si fa progetto senza scadere nel delirio onnipotente. Il tempo del soggetto è dunque il futuro anteriore, quel “sarà stato” che scandisce la terapia. Solo attraverso l’esaustione di tutte le impossibilità il soggetto accede a quei pochi gradi di libertà con i quali può esercitare il suo residuo potere. Ma il soggetto non è mai tale senza il riconoscimento dell’Altro, al quale pertanto sospende la sua stessa esistenza in un gioco incrociato di domande dove, al tempo stesso, si realizza e si smarrisce.

Quando un bambino lancia un grido o piange esprime un malessere indistinto, una situazione confusa di disagio. Spetta all’Altro significativo e significante fornire una risposta. Il soggetto riceve il senso della sua domanda dalla risposta che gli perviene. Così facendo, smarrisce il bisogno e si aliena nella sfilata delle domande che chiedono solo di non essere fraintese. Il peggior pericolo è che venga interpretata la richiesta come richiesta di cose. Ciò che l’essere umano desidera, al di là delle infinite domande, è di essere riconosciuto come soggetto di un desiderio “sano”.

Dunque  “l’essere umano non si costituisce come una sostanza autofondata o attraverso una facoltà di sintesi, ma dipende nel suo essere dal riconoscimento dell’Altro, dal “desiderio dell’Altro”. Non c’è una identità soggettiva che si costituisce per maturazione, per sviluppo psico-biologico di una potenzialità programmata esistente a priori. Il soggetto non è un seme che contiene già in sé la sua evoluzione; è piuttosto costituito, attraversato dall’Altro, innanzitutto dal desiderio dell’Altro: ed esso sarà, e diventerà, come l’esperienza clinica ci insegna, ciò che è stato per il desiderio dell’Altro.”

Secondo Lacan sul piano simbolico, che è il luogo dove si attua il legame tra la coazione a ripetere, la memoria e l’accesso al linguaggio, si svolgerebbe una continua dialettica tra bisogno e desiderio che, ripetendo in modo allucinatorio l’esperienza passata, ritrova l’oggetto perduto sul piano fantasmatico e cerca una realizzazione. La dinamica del desiderio è guidata dalla “logica della mancanza”, che si manifesta sia in modo negativo sul “registro” reale, come compromesso, nel sintomo, sia in modo positivo sul “registro” dell’immaginario onirico.

Ma l’essere umano, osserva Lacan, non è retto solo dal desiderio di sapere ma anche da quello, insopprimibile, di ignorare. Perchè la verità è segreto, desiderio, pausa, interruzione, silenzio, ed è nel vuoto della parola che si lascia respirare il pensiero che tuttavia non può emergere che nel luogo del continuo confronto con chi sa ascoltare.

Pertanto la verità non si può cercare nè svelare per intero. Se si dà è solo nella forma del compromesso, del dire a metà. Se il terapeuta non è consapevole di questa manovra, chiude, con la sua presenza, l’accesso alla verità del soggetto. Compito del terapeuta è dunque, per Lacan, quello di non saturare la domanda ma di riconsegnarla ogni volta al soggetto che troverà la propria risposta. La domanda, che non riceve risposta, rimette il sapere al suo posto, nel luogo dell’Altro. Solo da questa dimensione si può formulare la questione della verità sottesa alla propria domanda ed espressa dal sintomo.

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Tratto da:
S.V. Finzi, Storia della psicoanalisi – Mondadori
Enciclopedia Treccani
Prof. Massimo Recalcati

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Tags: Lacan, desiderio, linguaggio, inconscio

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ALL’AMORE ASSENTE

ALL’AMORE ASSENTE

“Ci sono infiniti modi per non amare”
Racamier

“Racamier diceva – con amarezza – che ci sono infiniti modi per non amare il proprio figlio (immaginarsi poi l’amare gli altri) e con questo intendeva che ci sono innumerevoli tipi di relazioni basati sulla prevaricazione e sul nutrirsi dell’altro che vengono caoticamente chiamati amore.

Anche amare troppo non è amare.

Anche aspettarsi sempre di essere amati troppo non è amore.
Ovviamente dovremo provare a concordare su cosa significhi amare.

Io proporrei di pensare l’amare come ad una disposizione di apertura e di rispetto verso l’altro che porta – si spera – ad un incontro autentico e di reciproca scoperta e rispetto.
Possiamo fingere di essere aperti, possiamo anche pensare di essere buoni e di non poter che amare la persona che abbiamo di fronte. Ma questa finzione si fonda sulla paura che noi abbiamo di noi stessi e dell’altro al punto che l’unica via è renderlo più simile a noi e rendere noi stessi simili a santi.

Ritengo che l’unico modo di scoprire cosa significhi amare sia essere stato amato o trovare qualcuno che ci guardi con disponibilità e che si disponga a capire il nostro mondo, senza giudizio, senza pregiudizio e sopratutto senza fretta. Senza manzoniana compassione ma con interesse.
Se siamo fortunati incontriamo questo sguardo nei genitori ma non è mai tardi per fare questa esperienza radicale. E’ una esperienza che si può esperire anche da adulti ed è fortemente auspicabile che ciascuno possa incontrare un’altra persona che lo sappia amare nel corso della sua vita.

Ma se crediamo di poter insegnare ad una persona ad amare in realtà non lo stiamo amando affatto, poichè non ci fidiamo di lui, non riteniamo che abbia in sè la potenzialità all’incontro.
Il più delle volte avremo solo fretta che ci assomigli.

L’amore si offre, si incontra, semmai si mostra, ma non credo si possa insegnare ne tantomeno possa essere materia di addestramento.

In questo senso concordo sul fatto che se incontriamo una creatura che non ha mai conosciuto uno sguardo d’amore molti di noi sentiranno (fortunatamente) il desiderio di proporgli un’alternativa.
Ma l’alternativa può essere solo lo sguardo di un amore “sano e rispettoso”, non intrusivo, non invadente e dalla giusta distanza.
Deve essere un’alternativa di sostanza, di essenza, non solo di gesti appresi.
Possiamo fingere qualsiasi esperienza ma spesso viviamo, e ripetiamo, solo ciò che è successo anche a noi.
L’altro sente sempre la differenza”.

Prof. Giorgio Maria Ferlini, Aretusa, 2012*

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* Giorgio Maria Ferlini, Psichiatra e Psicoterapeuta, è stato Ordinario alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova e Presidente della Scuola in Psicoterapia e Fenomenologia “Aretusa”.
Giorgio Maria Ferlini. Parte prima: https://www.youtube.com/watch?v=th5d-5DhyMc
Giorgio Maria Ferlini. Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=W3NGW9jkQIY
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Dott. Donato Saulle

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Immagine di copertina:
Poster del film: “All’amore assente”, A. Adriatico, 2007
Foto ed elaborazione grafica di Donato Saulle (2008)
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ICHAZO   BIRDY

LE PASSIONI DOMINANTI – La teoria psicologica di Oscar Ichazo

LE PASSIONI DOMINANTI

La teoria psicologica di Oscar Ichazo

“Al centro di ogni carattere, in reciproca relazione l’uno con l’altro, sono presenti una forma di motivazione da carenza e un errore cognitivo”
O. Ichazo 

Oscar Ichazo (Bolivia, 1931 – 2020) insegnò in Cile nell’Istituto di Psicologia Applicata di Santiago e ad Arica (al confine tra Cile e Perù). Dichiarò di essere entrato in contatto con la sapienza Sufi in Afghanistan.

Le sue teorie sono molto complesse, hanno radici profonde e una dimensione che non verrà trattata in questo post che deve essere considerato solo come il tentativo di una sistemazione divulgativa estremamente ridotta di una visione.

Visione che spero possa essere considerata interessante, pur nella semplificata esposizione.

La teoria di Ichazo si basa sull’individuazione di alcune modalità in cui l’ego di una persona diventa fisso nella psiche in una fase iniziale della vita.

Per ciascuna persona, una di queste fissazioni dell’ego diventa il nucleo di un’immagine di sé intorno alla quale si sviluppa la propria personalità psicologica e il proprio carattere.

Ogni fissazione è anche supportata a livello emozionale da una particolare “passione “.

Gli insegnamenti di Ichazo sono stati progettati per aiutare le persone a trascendere, a superare, la loro identificazione con i propri modelli automatici e inconsci di pensiero e di comportamento e con le sofferenze causate da essi.

Ichazo ha indicato i tre istinti umani fondamentali per la sopravvivenza: “conservazione”; “relazione” e “adattamento”.

Dunque secondo Ichazo, la fissazione di una persona deriva dall’esperienza soggettiva nell’infanzia del trauma psicologico che viene vissuto quando le aspettative non sono rispettate in ciascuno degli istinti di base.

Ogni personalità rappresenta la cristallizzazione e l’irrigidimento delle difese infantili nel processo di adattamento precoce con l’ambiente e si struttura attorno a un nucleo emozionale (“passione” dominante), un nucleo cognitivo (“fissazione” dominante) e un nucleo che riguarda la sfera degli istinti che regolano l’attività umana.

Gli esseri umani, nei loro primi anni di vita, sono auto-centranti e perciò possono essere disattesi nelle loro aspettative in uno o in più di uno dei tre atteggiamenti fondamentali.

Da tali esperienze, il pensiero automatico e i modelli di comportamento si presentano come tentativi di difesa contro la ripetizione del trauma da carenza.

Conoscendo le proprie particolarità con la pratica dell’auto-osservazione si ritiene che una persona possa ridurre o addirittura trascendere la sofferenza causata dalle fissazioni.

Lo scopo del terapeuta è quello di individuare, insieme al paziente, le tendenze principali del carattere, le visioni del mondo e le attitudini, nonché le più probabili ipotesi evolutive, permettendo di accrescere le possibilità di auto-comprensione e di trasformazione interiore del paziente superando gli automatismi e eliminando le sofferenze radicate nell’attaccamento e nella identificazione con questi meccanismi difensivi che, Ichazo insegna, in qualche modo tentano di proteggerci dalla sofferenza, ma che in realtà non fanno altro che perpetuarla.

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Fonti:
O. Ichazo, Interviews with Oscar Ichazo, Arica Institute Press, 1982
C. Naranjo, Atteggiamento e prassi della teoria gestaltica, 1991
A. H. Almaas, L’ enneagramma delle idee sacre. Aspetti molteplici della realtà, Trad. D. Ballarini, Astrolabio, 2007
Igor Vitale, Enneagramma. La storia dal sufismo in poi Gurdjieff, Ouspensky, Ichazo, marzo 2nd, 2013 | Posted by Igor Vitale in Psicologia Clinica, http://www.igorvitale.org/category/psicologia-clinica/ consultato il 10/07/2017
S. Vegetti Finzi, Storia della Psicanalisi, Autori opere teorie 1895-1990, Mondadori 1990
https://en.wikipedia.org/wiki/Oscar_Ichazo
https://en.wikipedia.org/wiki/Arica_School
Immagine di copertina tratta da: Birdy – Le ali della libertà (Birdy), Alan Parker, 1984blu psicologo milano

LA PSICOLOGIA DI ALFRED ADLER

“Veniamo influenzati non dai fatti ma dall’opinione che abbiamo dei fatti” 
Alfred Adler

Alfred Adler nacque a Vienna nel 1870. Psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista austriaco incontrò Freud nel 1902 e ne rimase fedele allievo solo per pochi anni e cioè fino al 1911.

“Già durante il periodo di collaborazione con Freud, Adler aveva intuito il ruolo che una presunta inferiorità organica poteva avere sulla vita dell’individuo, e da questa prima ipotesi nacque il concetto di pulsione aggressiva quale principio dell’energia psichica; per Adler, infatti, il movente istintuale principale è un’aggressività che compensi il senso di inferiorità nei confronti dei propri simili.

Nel 1911 abbandonò completamente la teoria freudiana degli istinti e della libido, proponendo che il riferimento psicoanalitico alla sessualità fosse inteso esclusivamente in senso metaforico.

La nevrosi maschile rappresenterebbe una “protesta virile”, una sovracompensazione nei confronti di un sentimento di inadeguatezza.

Gli individui si sentono inadeguati e imperfetti, e per compensazione si autoingannano creandosi uno “stile di vita” che costituisce essenzialmente una modalità esistenziale tesa al raggiungimento di una superiorità nei confronti degli altri.

La psicoterapia, quindi, consiste in una libera discussione su di un piano paritetico tra lo psicoterapeuta e il paziente con l’intento di individuare il movimento inconscio in cui il paziente ha “organizzato” questo autoinganno da cui discende uno stile di vita fittizzio e nevrotico. Adler diede molta importanza al contesto ambientale e all’interesse per i problemi sociali quali elementi per la crescita sana dell’individuo.

Per le sue idee sociali e per la sua motivata convinzione che le difficoltà psicologiche dell’individuo risalgano, in ultima analisi, a fattori storici e culturali, egli viene considerato il precursore delle revisioni “sociali” della psicoanalisi.”*

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* Tratto da: U. Galimberti, Psicologia, Le Garzantine, Garzanti, Torino 1999 – pg. 8

Alfred Adler

la retroflessione

LA RETROFLESSIONE PSICOLOGICA

LA RETROFLESSIONE PSICOLOGICA

Un meccanismo di difesa

Un percorso di psicoterapia è essenzialmente un percorso di conoscenza di sè.

Durante questo percorso è possibile riflettere su alcuni comportamenti che si mettono in atto e che non hanno, apparentemente, una spiegazione razionale.

E’ necessario che in questo percorso si sia seguiti e affiancati da uno psicoterapeuta in quanto interpretazioni autonome possono esitare in convinzioni erronee.

Di seguito viene esposto sinteticamente e solo a scopo divulgativo il fenomeno della “retroflessione”.

LA RETROFLESSIONE

E’ l’atteggiamento di colui che fa a sé stesso ciò che avrebbe voluto (originariamente) fare ad un altro.

Se l’ambiente risulta troppo forte, ostile e frustrante la persona rinuncia a lottare, si arrende e si adegua ma dentro di sé il bisogno continua a premere e bisogna impiegare una forte quantità di energia per impedirgli di esprimersi.

Scrive Perls:

“… l’organismo si comporta verso il proprio impulso nello stesso modo dell’ambiente; vale a dire lo reprime.

La sua energia viene pertanto divisa.

Una parte tende ancora verso le sue mete originarie e insoddisfatte; l’altra parte viene retroflessa per tenere a freno la prima tesa all’esterno.

A questo stadio le due parti della personalità lottando in direzioni diametralmente opposte entrano in lotta tra loro.

Quel che è cominciato come un conflitto tra l’organismo e l’ambiente è diventato un conflitto interno tra una parte e l’altra della personalità, tra un tipo di comportamento e il suo inverso “.

Pensare, filosofare, elaborare progetti senza arrivare alla realizzazione possono costituire delle retroflessioni se questi atteggiamenti sopravvengono in luogo e al posto dell’azione.

Si potrebbero aggiungere a questo proposito le considerazioni classiche della psicanalisi sulla depressione:

il depresso si squalifica e si autoaccusa perché butta su di sé il risentimento per l’oggetto d’amore che se ne è andato.

Di fronte ad un paziente che si autopunisce e si autocommisera o dice di soffrire di un complesso di colpa Perls non ha esitazioni nel suggerirgli per prima l’ipotesi della retroflessione.

I suoi interventi di solito sono del tipo: se invece di graffiarti in continuazione io ti proponessi di graffiare qualcun altro, chi avresti voglia di graffiare in questo momento?

oppure: chi avresti voglia di criticare e di far sentir colpevole?

Allo stesso modo lavora con i sintomi psicosomatici.

Naturalmente il concetto di retroflessione comprende anche l’atteggiamento opposto a quelli esaminati sino ad ora, cioè l’atteggiamento di chi fa a sé stesso ciò che amerebbe che altri facessero a lui e che lui non osa chiedere.

Si pensi a certe forme di narcisismo, si pensi all’atteggiamento di dondolarsi invece di cercare la tenerezza di un patner desiderato o alla compensazione affettiva di tante forme di autogratificazione.

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Fonti:

Perls Fritz, “L’Io, la fame, l’aggressività”, Milano, Franco Angeli, 2003
Perls Fritz, Hefferline R.F., Goodman Paul, “Teoria e pratica della terapia della Gestalt”, Roma, Astrolabio, 1971

La mia voce ti accompagnerà   Erikson

LA MIA VOCE TI ACCOMPAGNERA’ – La Psicologia di Milton Erickson

LA MIA VOCE TI ACCOMPAGNERA’

La Psicologia di Milton Erickson

“Scegli un momento nel passato.
La mia voce ti accompagnerà.
Ritrovati  felice di qualcosa,

qualcosa avvenuto tanto tempo fa.
Qualcosa tanto tempo fa dimenticato.”  
M. Erickson

Milton Erickson

Milton Hyland Erickson (Aurum, 15 dicembre 1901 – Phoenix, 25 marzo 1980).

E’ stato uno psicologo, psicoterapeuta e psichiatra statunitense.

A Phoenix (Arizona) ha esercitato privatamente per oltre 30 anni.

I racconti di Erickson

Metafore, apologhi, aneddoti, divagazioni umoristiche a volte senza senso apparente, enigmi a chiave, quale che fosse la loro forma esteriore, i racconti didattici di Milton H. Erickson erano in realtà strumenti terapeutici raffinati e intesi a instillare nel paziente i semi di una nuova visione del mondo.

Erano quindi orientati a determinare un vero e proprio cambiamento terapeutico.

E’ stato detto che non risolveva mai un problema nel modo tradizionale  e chiunque conosca appena il suo modo di fare terapia sa bene a quale e a quanta varietà di tecniche sorprendenti e nuove ricorresse nella sua pratica e quale influsso i suoi metodi rivoluzionari abbiano avuto sugli sviluppi della psicoterapia.

Elemento inscindibile, oltre a questo, dunque nella pratica psicoterapeutica di Erickson era il suo impiego di racconti: storie singolari, a volte bizzarre, episodi realmente accaduti o anche fantasie apparentemente prive di senso, che potevano lasciare interdetto l’ascoltatore.

Ma ogni racconto di Erickson, sia nella forma espressiva che nel contenuto, avevano un senso e uno scopo precisi: erano tutti strumenti utilizzati per cercare di aprire la mente dell’interlocutore a intuizioni nuove e inaspettate che quasi sempre conducevano a un sorprendente esito terapeutico.

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Il presente post ha il solo fine di divulgare il libro e/o  il film da cui è stato tratto senza scopo di lucro.

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Tratto da:
“La mia voce ti accompagnerà. I racconti didattici”
Milton H. Erickson
Curatore: S. Rosen
Editore: Astrolabio Ubaldini
Collana: Psiche e coscienza
Anno edizione: 1983

LE LOGICHE DEL DESIDERIO 1

LE LOGICHE DEL DESIDERIO

LE LOGICHE DEL DESIDERIO

Cosa sappiamo del desiderio umano?
L’opinione prevalente nel senso comune è che l’essere umano scelga in modo completamente autonomo di orientare il suo desiderio su un oggetto. Questo spiega la nascita del desiderio con il fatto che ogni oggetto possiede un valore che lo rende desiderabile in sè.
Questa visione lineare del desiderio che collega direttamente il soggetto all’oggetto è di una semplicità evidente. L’essere umano sembrerebbe però essere intrinsecamente più complesso e questa teoria non spiega fenomeni come l’invidia o la gelosia.
In questo post è mia intenzione proporre, in modo anche casuale, arbitrario e semplificato, come alcuni studiosi e autori di ambiti diversi hanno teorizzato le logiche del desiderio.

Lacan colloca il desiderio nella mancanza. La mancanza caratterizza ogni itinerario che dal bisogno conduce al desiderio. Il desiderio inconscio è ciò che si oppone alla mancanza. Non si può nominare, ovvero non c’è un significante, una parola che può definirlo totalmente, ma rimanda sempre a qualcos’altro. Altro, non inteso come uomo ma come luogo; altro da sè. Non è desiderio di qualcosa di materiale; è innanzitutto desiderio del desiderio dell’altro, desiderio di ciò che l’altro desidera, desiderio di essere desiderato dall’altro, di essere riconosciuto dall’Altro.
Il desiderio è anche una metafora. Si esprime in modo costruttivo nelle sembianze di una passione, di un ideale, di una ricerca che dia senso, che offra consistenza alla propria vita. E’ inconscio, è una spinta: è un movimento che orienta la propria esistenza. E’ un motore ed è ciò che dà vitalità al soggetto. In senso negativo è negazione di parti di sè e origine di conflitti intrapsichici e sociali.

Nella terapia della Gestalt di Perls la logica del desiderio si colloca all’interno di una relazione dinamica tra un soggetto e un oggetto o un’altra persona, una cosa, un sentimento. E’ quindi ancora determinato da un bisogno e ha come scopo la sua soddisfazione. Una volta soddisfatto il bisogno il desiderio è appagato e ne emergerà uno nuovo. Anche nel campo dei sentimenti e delle emozioni personali si può riscontrare questa stessa modalità. Il bisogno in primo piano, sia esso quello della sopravvivenza o un qualsiasi altro bisogno fisiologico o psicologico è comunque quello che preme con maggiore urgenza per il proprio appagamento e in alcuni casi seleziona elementi della realtà distorcendola.

Alcuni recenti studi sull’empatia e sui “neuroni specchio” invece sostengono che nel comportamento umano si riscontra una dimensione imitativa, cioè una volontà di imitare il proprio simile.
Tale atteggiamento è indispensabile all’uomo per diventare tale, per apprendere a parlare, a camminare, a conformarsi a delle regole e a integrarsi in una cultura.
Ed è sempre per imitazione che desideriamo ciò che anche un altro desidera.
Già Girard sosteneva che non esiste un vero desiderio individuale, ma solo un desiderio mediato, che imita il desiderio di un’altro che ha suggerito l’oggetto da possedere.
Tutto ciò significa che il rapporto tra soggetto e oggetto non è diretto e lineare, ma è sempre triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato.
Al di là dell’oggetto, è il modello (che Girard chiama «il mediatore») che attira il desiderio. In particolare, a certi stadi di intensità, il soggetto ambisce direttamente all’essere del modello.
Focalizzare il proprio desiderio su un modello, è già riconoscergli un valore che si pensa di non possedere ed equivale a constatare la propria insufficienza di essere umano e dare a sè stessi un giudizio di valore.
Così si istituisce la mediazione del modello ed una prima trasfigurazione dell’oggetto. Ad esempio, quell’automobile è qualcosa di più di una automobile, altrimenti  qualsiasi modello d’auto servirebbe allo scopo; e invece è  l’oggetto su cui proietto la mia carica libidica, che mi permette non solo di avere ma sopratutto di essere.
Di essere e di avere quelle caratteristiche che io attribuisco al possessore dell’oggetto.
Per questo Girard parla di desiderio «meta-fisico»: non si tratta per lui di un semplice bisogno perché «ogni desiderio è desiderio d’essere».

Dott. Donato Saulle

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Fonti:
“La teoria del desiderio mimetico in René Girard. Verità romanzesca e menzogna romantica”.
“René Girard: di miti, religioni e capri espiatori” di Marco Aime
“La mancanza e il desiderio” – Giselle Ferretti
Bruno Moroncini, Rosanna Petrillo, Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan
https://it.wikipedia.org/wiki/Ren%C3%A9_Girard
Garzanti – Psicologia a cura di U.Galimberti
Zerbetto Riccardo, “La Gestalt. Terapia della consapevolezza”, Milano, Xenia, 1998
Perls Fritz, Baumgardner Patricia, “Terapia della Gestalt. L’eredità di Perls – Doni dal lago Cowichan”, Roma, Astrolabio, 1983
Pessa Eliano, ”Reti neurali e processi cognitivi”, Roma, Di Renzo Editore, 1993
Immagine:  “Nocturnos” – Ricardo Cinalliblu psicologo milano

Tags: Conflitto, Lacan, Gestalt, Perls, capro espiatorio

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AL CONFINE DEL CONTATTO – La relazione amorosa

AL CONFINE DEL CONTATTO

La relazione amorosa

“L’amore è un’ esperienza di libertà”
M.Recalcati

La relazione amorosa mette in ballo inevitabilmente il conflitto tra due esigenze fortemente contrastanti ma compresenti:

da una parte abbiamo il bisogno di attaccamento e di legame, di entrare in rapporto profondo con l’altro, di sentirsi intimamente uniti e di fondersi con lui

e dall’altro abbiamo il bisogno di separazione e distinzione dall’altro, di autonomia ed indipendenza, di mantenere la propria individualità e la propria soggettività.

Queste due esigenze sono spesso percepite come due poli contrapposti, inconciliabili, che portano o all’autonomia con esclusione del rapporto d’amore, o al rapporto d’amore con perdita di autonomia. Un rapporto quindi dove non si riesce più a cogliere con chiarezza i propri bisogni e ad appagarli.

Eppure sono entrambe esigenze ineliminabili, fondanti il nostro essere umani.

Dunque, nel rapporto intimo con l’altro, bisogna ogni volta tornare a separarsi, a distanziarsi, a differenziarsi per poter amare, ma bisogna anche essere sufficientemente disposti a perdere di vista sé stessi in favore dell’altro, senza che questa perdita diventi mai totale e distruttiva della propria soggettività.

Dott. Donato Saulle

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Cit. Mantieni il bacio – Lezioni brevi sull’amore di Massimo Recalcati