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ALL’AMORE ASSENTE

ALL’AMORE ASSENTE

“Ci sono infiniti modi per non amare”
Racamier

“Racamier diceva – con amarezza – che ci sono infiniti modi per non amare il proprio figlio (immaginarsi poi l’amare gli altri) e con questo intendeva che ci sono innumerevoli tipi di relazioni basati sulla prevaricazione e sul nutrirsi dell’altro che vengono caoticamente chiamati amore.

Anche amare troppo non è amare.

Anche aspettarsi sempre di essere amati troppo non è amore.
Ovviamente dovremo provare a concordare su cosa significhi amare.

Io proporrei di pensare l’amare come ad una disposizione di apertura e di rispetto verso l’altro che porta – si spera – ad un incontro autentico e di reciproca scoperta e rispetto.
Possiamo fingere di essere aperti, possiamo anche pensare di essere buoni e di non poter che amare la persona che abbiamo di fronte. Ma questa finzione si fonda sulla paura che noi abbiamo di noi stessi e dell’altro al punto che l’unica via è renderlo più simile a noi e rendere noi stessi simili a santi.

Ritengo che l’unico modo di scoprire cosa significhi amare sia essere stato amato o trovare qualcuno che ci guardi con disponibilità e che si disponga a capire il nostro mondo, senza giudizio, senza pregiudizio e sopratutto senza fretta. Senza manzoniana compassione ma con interesse.
Se siamo fortunati incontriamo questo sguardo nei genitori ma non è mai tardi per fare questa esperienza radicale. E’ una esperienza che si può esperire anche da adulti ed è fortemente auspicabile che ciascuno possa incontrare un’altra persona che lo sappia amare nel corso della sua vita.

Ma se crediamo di poter insegnare ad una persona ad amare in realtà non lo stiamo amando affatto, poichè non ci fidiamo di lui, non riteniamo che abbia in sè la potenzialità all’incontro.
Il più delle volte avremo solo fretta che ci assomigli.

L’amore si offre, si incontra, semmai si mostra, ma non credo si possa insegnare ne tantomeno possa essere materia di addestramento.

In questo senso concordo sul fatto che se incontriamo una creatura che non ha mai conosciuto uno sguardo d’amore molti di noi sentiranno (fortunatamente) il desiderio di proporgli un’alternativa.
Ma l’alternativa può essere solo lo sguardo di un amore “sano e rispettoso”, non intrusivo, non invadente e dalla giusta distanza.
Deve essere un’alternativa di sostanza, di essenza, non solo di gesti appresi.
Possiamo fingere qualsiasi esperienza ma spesso viviamo, e ripetiamo, solo ciò che è successo anche a noi.
L’altro sente sempre la differenza”.

Prof. Giorgio Maria Ferlini, Aretusa, 2012*

ARGOMENTI ARGOMENTI DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIAblu psicologo milano

* Giorgio Maria Ferlini, Psichiatra e Psicoterapeuta, è stato Ordinario alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova e Presidente della Scuola in Psicoterapia e Fenomenologia “Aretusa”.
Giorgio Maria Ferlini. Parte prima: https://www.youtube.com/watch?v=th5d-5DhyMc
Giorgio Maria Ferlini. Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=W3NGW9jkQIY
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Dott. Donato Saulle

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Immagine di copertina:
Poster del film: “All’amore assente”, A. Adriatico, 2007
Foto ed elaborazione grafica di Donato Saulle (2008)
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ICHAZO   BIRDY

LE PASSIONI DOMINANTI – La teoria psicologica di Oscar Ichazo

LE PASSIONI DOMINANTI

La teoria psicologica di Oscar Ichazo

“Al centro di ogni carattere, in reciproca relazione l’uno con l’altro, sono presenti una forma di motivazione da carenza e un errore cognitivo”
O. Ichazo 

Oscar Ichazo (Bolivia, 1931 – 2020) insegnò in Cile nell’Istituto di Psicologia Applicata di Santiago e ad Arica (al confine tra Cile e Perù). Dichiarò di essere entrato in contatto con la sapienza Sufi in Afghanistan.

Le sue teorie sono molto complesse, hanno radici profonde e una dimensione che non verrà trattata in questo post che deve essere considerato solo come il tentativo di una sistemazione divulgativa estremamente ridotta di una visione.

Visione che spero possa essere considerata interessante, pur nella semplificata esposizione.

La teoria di Ichazo si basa sull’individuazione di alcune modalità in cui l’ego di una persona diventa fisso nella psiche in una fase iniziale della vita.

Per ciascuna persona, una di queste fissazioni dell’ego diventa il nucleo di un’immagine di sé intorno alla quale si sviluppa la propria personalità psicologica e il proprio carattere.

Ogni fissazione è anche supportata a livello emozionale da una particolare “passione “.

Gli insegnamenti di Ichazo sono stati progettati per aiutare le persone a trascendere, a superare, la loro identificazione con i propri modelli automatici e inconsci di pensiero e di comportamento e con le sofferenze causate da essi.

Ichazo ha indicato i tre istinti umani fondamentali per la sopravvivenza: “conservazione”; “relazione” e “adattamento”.

Dunque secondo Ichazo, la fissazione di una persona deriva dall’esperienza soggettiva nell’infanzia del trauma psicologico che viene vissuto quando le aspettative non sono rispettate in ciascuno degli istinti di base.

Ogni personalità rappresenta la cristallizzazione e l’irrigidimento delle difese infantili nel processo di adattamento precoce con l’ambiente e si struttura attorno a un nucleo emozionale (“passione” dominante), un nucleo cognitivo (“fissazione” dominante) e un nucleo che riguarda la sfera degli istinti che regolano l’attività umana.

Gli esseri umani, nei loro primi anni di vita, sono auto-centranti e perciò possono essere disattesi nelle loro aspettative in uno o in più di uno dei tre atteggiamenti fondamentali.

Da tali esperienze, il pensiero automatico e i modelli di comportamento si presentano come tentativi di difesa contro la ripetizione del trauma da carenza.

Conoscendo le proprie particolarità con la pratica dell’auto-osservazione si ritiene che una persona possa ridurre o addirittura trascendere la sofferenza causata dalle fissazioni.

Lo scopo del terapeuta è quello di individuare, insieme al paziente, le tendenze principali del carattere, le visioni del mondo e le attitudini, nonché le più probabili ipotesi evolutive, permettendo di accrescere le possibilità di auto-comprensione e di trasformazione interiore del paziente superando gli automatismi e eliminando le sofferenze radicate nell’attaccamento e nella identificazione con questi meccanismi difensivi che, Ichazo insegna, in qualche modo tentano di proteggerci dalla sofferenza, ma che in realtà non fanno altro che perpetuarla.

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Fonti:
O. Ichazo, Interviews with Oscar Ichazo, Arica Institute Press, 1982
C. Naranjo, Atteggiamento e prassi della teoria gestaltica, 1991
A. H. Almaas, L’ enneagramma delle idee sacre. Aspetti molteplici della realtà, Trad. D. Ballarini, Astrolabio, 2007
Igor Vitale, Enneagramma. La storia dal sufismo in poi Gurdjieff, Ouspensky, Ichazo, marzo 2nd, 2013 | Posted by Igor Vitale in Psicologia Clinica, http://www.igorvitale.org/category/psicologia-clinica/ consultato il 10/07/2017
S. Vegetti Finzi, Storia della Psicanalisi, Autori opere teorie 1895-1990, Mondadori 1990
https://en.wikipedia.org/wiki/Oscar_Ichazo
https://en.wikipedia.org/wiki/Arica_School
Immagine di copertina tratta da: Birdy – Le ali della libertà (Birdy), Alan Parker, 1984blu psicologo milano

La mia voce ti accompagnerà   Erikson

LA MIA VOCE TI ACCOMPAGNERA’ – La Psicologia di Milton Erickson

LA MIA VOCE TI ACCOMPAGNERA’

La Psicologia di Milton Erickson

“Scegli un momento nel passato.
La mia voce ti accompagnerà.
Ritrovati  felice di qualcosa,

qualcosa avvenuto tanto tempo fa.
Qualcosa tanto tempo fa dimenticato.”  
M. Erickson

Milton Erickson

Milton Hyland Erickson (Aurum, 15 dicembre 1901 – Phoenix, 25 marzo 1980).

E’ stato uno psicologo, psicoterapeuta e psichiatra statunitense.

A Phoenix (Arizona) ha esercitato privatamente per oltre 30 anni.

I racconti di Erickson

Metafore, apologhi, aneddoti, divagazioni umoristiche a volte senza senso apparente, enigmi a chiave, quale che fosse la loro forma esteriore, i racconti didattici di Milton H. Erickson erano in realtà strumenti terapeutici raffinati e intesi a instillare nel paziente i semi di una nuova visione del mondo.

Erano quindi orientati a determinare un vero e proprio cambiamento terapeutico.

E’ stato detto che non risolveva mai un problema nel modo tradizionale  e chiunque conosca appena il suo modo di fare terapia sa bene a quale e a quanta varietà di tecniche sorprendenti e nuove ricorresse nella sua pratica e quale influsso i suoi metodi rivoluzionari abbiano avuto sugli sviluppi della psicoterapia.

Elemento inscindibile, oltre a questo, dunque nella pratica psicoterapeutica di Erickson era il suo impiego di racconti: storie singolari, a volte bizzarre, episodi realmente accaduti o anche fantasie apparentemente prive di senso, che potevano lasciare interdetto l’ascoltatore.

Ma ogni racconto di Erickson, sia nella forma espressiva che nel contenuto, avevano un senso e uno scopo precisi: erano tutti strumenti utilizzati per cercare di aprire la mente dell’interlocutore a intuizioni nuove e inaspettate che quasi sempre conducevano a un sorprendente esito terapeutico.

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Il presente post ha il solo fine di divulgare il libro e/o  il film da cui è stato tratto senza scopo di lucro.

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Tratto da:
“La mia voce ti accompagnerà. I racconti didattici”
Milton H. Erickson
Curatore: S. Rosen
Editore: Astrolabio Ubaldini
Collana: Psiche e coscienza
Anno edizione: 1983

LE LOGICHE DEL DESIDERIO 1

LE LOGICHE DEL DESIDERIO

LE LOGICHE DEL DESIDERIO

Cosa sappiamo del desiderio umano?
L’opinione prevalente nel senso comune è che l’essere umano scelga in modo completamente autonomo di orientare il suo desiderio su un oggetto. Questo spiega la nascita del desiderio con il fatto che ogni oggetto possiede un valore che lo rende desiderabile in sè.
Questa visione lineare del desiderio che collega direttamente il soggetto all’oggetto è di una semplicità evidente. L’essere umano sembrerebbe però essere intrinsecamente più complesso e questa teoria non spiega fenomeni come l’invidia o la gelosia.
In questo post è mia intenzione proporre, in modo anche casuale, arbitrario e semplificato, come alcuni studiosi e autori di ambiti diversi hanno teorizzato le logiche del desiderio.

Lacan colloca il desiderio nella mancanza. La mancanza caratterizza ogni itinerario che dal bisogno conduce al desiderio. Il desiderio inconscio è ciò che si oppone alla mancanza. Non si può nominare, ovvero non c’è un significante, una parola che può definirlo totalmente, ma rimanda sempre a qualcos’altro. Altro, non inteso come uomo ma come luogo; altro da sè. Non è desiderio di qualcosa di materiale; è innanzitutto desiderio del desiderio dell’altro, desiderio di ciò che l’altro desidera, desiderio di essere desiderato dall’altro, di essere riconosciuto dall’Altro.
Il desiderio è anche una metafora. Si esprime in modo costruttivo nelle sembianze di una passione, di un ideale, di una ricerca che dia senso, che offra consistenza alla propria vita. E’ inconscio, è una spinta: è un movimento che orienta la propria esistenza. E’ un motore ed è ciò che dà vitalità al soggetto. In senso negativo è negazione di parti di sè e origine di conflitti intrapsichici e sociali.

Nella terapia della Gestalt di Perls la logica del desiderio si colloca all’interno di una relazione dinamica tra un soggetto e un oggetto o un’altra persona, una cosa, un sentimento. E’ quindi ancora determinato da un bisogno e ha come scopo la sua soddisfazione. Una volta soddisfatto il bisogno il desiderio è appagato e ne emergerà uno nuovo. Anche nel campo dei sentimenti e delle emozioni personali si può riscontrare questa stessa modalità. Il bisogno in primo piano, sia esso quello della sopravvivenza o un qualsiasi altro bisogno fisiologico o psicologico è comunque quello che preme con maggiore urgenza per il proprio appagamento e in alcuni casi seleziona elementi della realtà distorcendola.

Alcuni recenti studi sull’empatia e sui “neuroni specchio” invece sostengono che nel comportamento umano si riscontra una dimensione imitativa, cioè una volontà di imitare il proprio simile.
Tale atteggiamento è indispensabile all’uomo per diventare tale, per apprendere a parlare, a camminare, a conformarsi a delle regole e a integrarsi in una cultura.
Ed è sempre per imitazione che desideriamo ciò che anche un altro desidera.
Già Girard sosteneva che non esiste un vero desiderio individuale, ma solo un desiderio mediato, che imita il desiderio di un’altro che ha suggerito l’oggetto da possedere.
Tutto ciò significa che il rapporto tra soggetto e oggetto non è diretto e lineare, ma è sempre triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato.
Al di là dell’oggetto, è il modello (che Girard chiama «il mediatore») che attira il desiderio. In particolare, a certi stadi di intensità, il soggetto ambisce direttamente all’essere del modello.
Focalizzare il proprio desiderio su un modello, è già riconoscergli un valore che si pensa di non possedere ed equivale a constatare la propria insufficienza di essere umano e dare a sè stessi un giudizio di valore.
Così si istituisce la mediazione del modello ed una prima trasfigurazione dell’oggetto. Ad esempio, quell’automobile è qualcosa di più di una automobile, altrimenti  qualsiasi modello d’auto servirebbe allo scopo; e invece è  l’oggetto su cui proietto la mia carica libidica, che mi permette non solo di avere ma sopratutto di essere.
Di essere e di avere quelle caratteristiche che io attribuisco al possessore dell’oggetto.
Per questo Girard parla di desiderio «meta-fisico»: non si tratta per lui di un semplice bisogno perché «ogni desiderio è desiderio d’essere».

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Fonti:
“La teoria del desiderio mimetico in René Girard. Verità romanzesca e menzogna romantica”.
“René Girard: di miti, religioni e capri espiatori” di Marco Aime
“La mancanza e il desiderio” – Giselle Ferretti
Bruno Moroncini, Rosanna Petrillo, Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan
https://it.wikipedia.org/wiki/Ren%C3%A9_Girard
Garzanti – Psicologia a cura di U.Galimberti
Zerbetto Riccardo, “La Gestalt. Terapia della consapevolezza”, Milano, Xenia, 1998
Perls Fritz, Baumgardner Patricia, “Terapia della Gestalt. L’eredità di Perls – Doni dal lago Cowichan”, Roma, Astrolabio, 1983
Pessa Eliano, ”Reti neurali e processi cognitivi”, Roma, Di Renzo Editore, 1993
Immagine:  “Nocturnos” – Ricardo Cinalliblu psicologo milano

Tags: Conflitto, Lacan, Gestalt, Perls, capro espiatorio

relazione amorosa

AL CONFINE DEL CONTATTO – La relazione amorosa

AL CONFINE DEL CONTATTO

La relazione amorosa

“L’amore è un’ esperienza di libertà”
M.Recalcati

La relazione amorosa mette in ballo inevitabilmente il conflitto tra due esigenze fortemente contrastanti ma compresenti:

da una parte abbiamo il bisogno di attaccamento e di legame, di entrare in rapporto profondo con l’altro, di sentirsi intimamente uniti e di fondersi con lui

e dall’altro abbiamo il bisogno di separazione e distinzione dall’altro, di autonomia ed indipendenza, di mantenere la propria individualità e la propria soggettività.

Queste due esigenze sono spesso percepite come due poli contrapposti, inconciliabili, che portano o all’autonomia con esclusione del rapporto d’amore, o al rapporto d’amore con perdita di autonomia. Un rapporto quindi dove non si riesce più a cogliere con chiarezza i propri bisogni e ad appagarli.

Eppure sono entrambe esigenze ineliminabili, fondanti il nostro essere umani.

Dunque, nel rapporto intimo con l’altro, bisogna ogni volta tornare a separarsi, a distanziarsi, a differenziarsi per poter amare, ma bisogna anche essere sufficientemente disposti a perdere di vista sé stessi in favore dell’altro, senza che questa perdita diventi mai totale e distruttiva della propria soggettività.

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Cit. Mantieni il bacio – Lezioni brevi sull’amore di Massimo Recalcati

MECCANISMI DI DIFESA 1

I MECCANISMI DI DIFESA

I meccanismi di difesa.

Per comprenderli è necessario avere una certa famigliarità con aspetti basilari della teoria psicoanalitica, della struttura, della funzione e della evoluzione della psiche – cioè della mente.

Inizieremo quindi con il riassumere molto brevemente alcuni concetti base della teoria psicoanalitica come conscio, inconscio e preconscio.

La differenza di questi concetti è relativa e i tre termini indicano gradi variabili di accessibilità alla consapevolezza.

Il termine conscio si riferisce a quelle funzioni mentali (impulsi, ricordi, pensieri, sentimenti, percezioni) di cui una persona è consapevole in un certo momento.

Il termine inconscio si riferisce a quei processi psicologici di cui una persona è inconsapevole e dei quali non è in grado di divenire consapevole mediante uno sforzo di volontà.

Il termine preconscio si riferisce alle funzioni mentali di cui la persona è inconsapevole in un certo momento ma delle quali può divenire consapevole mediante i suoi ricordi, concentrando l’attenzione, o se qualcuno glie lo rammenta.

Lo sforzo intenzionale per diventare consapevoli di un contenuto preconscio può avere un successo immediato, richiedere qualche minuto, ore e a volte addirittura giorni. Talvolta può essere necessario l’aiuto di altre persone, come nel caso di una discussione tra amici, in cui uno di essi non riesce a ricordare un nome.

Di solito un nome viene escluso in questo modo dalla coscienza perchè un certo motivo o desiderio, magari anche superficiale, banale o semplicemente sgradevole, viene associato al nome e interferisce con il fatto che questo divenga conscio ed espresso.

In altri casi varie funzioni psicologiche vengono mantenute preconsce, cioè fuori dalla consapevolezza, allo scopo di poter meglio concentrare l’attenzione su un compito o una questione urgente.

Ad esempio quando un individuo scrive una importante lettera di affari egli esclude dalla consapevolezza tutte le altre faccende più o meno urgenti.

Se altre sensazioni e motivazioni venisse consentito di accedere alla coscienza esse finirebbero per avere un effetto distraente sull’attenzione, con un risultato negativo per ciò che si sta eseguendo.

Per scrivere la lettera nel modo migliore, la persona deve escludere dalla consapevolezza tutto il resto: motivazioni, pensieri, ricordi e sensazioni. Talvolta impulsi preconsci o inconsci, che sono personalmente inaccettabili, diventano così intensi e premono con vigore per essere espressi, che possono finire per entrare nella consapevolezza conscia o trovare espressione anche contro la volontà della persona in questione.

In questo senso i meccanismi di difesa possono diventare una minaccia per la capacità del soggetto di tenere sotto controllo la propria mente.

Il termine meccanismi di difesa si riferisce invece a varie attività psicologiche (come la rimozione, la razionalizzazione, l’inibizione o l’isolamento dell’affetto; alcuni dei quali approfondiremo in dettaglio in un prossimo post) che scattano in modo automatico e involontario mediante le quali l’essere umano tenta di escludere dalla consapevolezza degli impulsi inaccettabili. Escludendo l’impulso dalla consapevolezza, egli ne rende un poco più improbabile l’espressione.

Secondo la teoria psicoanalitica, un impulso è sufficientemente inaccettabile perchè siano attivati dei meccanismi di difesa allorchè, secondo il giudizio inconscio dell’individuo, la sua espressione provocherebbe una punizione o una pericolosa vendetta da parte di altre persone, o del giudice interiore, cioè la coscienza morale.

Di conseguenza quando un simile impulso preme per trovare espressione, l’individuo diventa apprensivo, proprio come farebbe in qualsiasi situazione realmente pericolosa.

La valutazione delle potenziali conseguenze di un impulso non implica un processo conscio o intenzionale. Esso, al contrario, è spontaneo, automatico, e si svolge al di fuori della consapevolezza. Il giudizio può essere confortato da considerazioni realistiche, oppure essere basato interamente su punti di vista irrazionali o infantili circa le conseguenze dell’impulso e la reazione anticipata degli altri a esso. In che misura il giudizio sia razionale o irrazionale dipende dalle precedenti esperienze di vita della persona. Qualunque impulso che, in modo più o meno corretto, sia stato associato con la minaccia di disapprovazione, punizione o ritorsione verrà considerato come pericoloso.

Sebbene evocati dal bisogno di evitare la minaccia di una possibile perdita di controllo su di un impulso inaccettabile, i meccanismi di difesa possono continuare a operare anche dopo che la minaccia originaria è scomparsa. La difesa può perciò diventare abituale e trincerarsi fermamente entro la struttura caratteriale della persona e nel suo modo abituale di comportarsi.

Bisogna infine da sottolineare il fatto che i meccanismi di difesa hanno una funzione evolutiva e sono collegati alla sopravvivenza stessa dell’individuo, per questo motivo le difese vanno rispettate, è necessario tuttavia comprenderle e superarle in particolar modo quando si percepisce che queste non sono più funzionali al benessere e si trasformano in un sintomo di malessere psicologico impedendo la libera espressione della propria personalità e un contatto armonico e flessibile con sè stessi e con gli altri.

ARGOMENTI ARGOMENTI DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA

Tratto da:
I meccanismi di difesa, B. White, M. Gilliland
Astrolabio-Ubaldini Editore

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Dott. Donato Saulle

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GESTIONE DELLA RABBIA

LA GESTIONE DELLA RABBIA

LA GESTIONE DELLA RABBIA

L’uomo che coltiva per tutta la vita la propria vendetta mantiene le sue ferite sempre aperte”. 

F. Bacone

Con il termine rabbia si indica uno stato psichico alterato, in genere suscitato da elementi di provocazione capaci di rimuovere i freni inibitori che normalmente stemperano le scelte del soggetto coinvolto.

Con la rabbia si prova una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni casi anche verso se stessi.

La psicologia e le varie discipline neuroscientifiche hanno dimostrato che la rabbia nasce come reazione alla frustrazione.

Lo stesso Wilhelm Reich diceva che la rabbia è un’emozione secondaria rispetto alla frustrazione e la frustrazione, noi sappiamo, nasce dal dolore, nasce dal mancato soddisfacimento di un nostro desiderio, ovvero, nasce da una impossibilità di raggiungere il piacere. La rabbia, quindi, nasce dalla frustrazione ma maschera il dolore.

Gli stati d’animo di rabbia e vendetta, oltre che da ferite e delusioni, possono essere fatti precipitare da un conflitto narcisistico, cioè da un conflitto avente a che fare con il senso di colpa o da una esperienza di fallimento o di grave sbaglio con conseguenti sentimenti di perdita, in cui l’aggressività diretta contro il Sè viene secondariamente rivolta verso soggetti esterni.

Mentre il sentimento della rabbia può contenere potenziali positivi e correttivi, la vendicatività è totalmente e inutilmente distruttiva.

I pazienti non si liberano dalla rabbia e dalla sete di vendetta unicamente elaborando l’ostilità che è dentro di loro. Le radici della rabbia e della vendicatività saranno distrutte quando la terapia sarà riuscita a elaborare il dolore e l’angoscia da separazione situati nelle sfere più profonde, solo in quel momento il paziente potrà accostare i suoi simili in modo più flessibile e armonico.”

CONTATTACI ADESSO:  Tel. 347 7966388 – Email: info@donatosaulle.it

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Tratto da:

Bollati Boringhieri – Rabbia e vendicatività
Harold F. Searles – La psicodinamica della vendicatività
Bollati Boringhieri Charles W. Socarides – La vendicatività: il desiderio di pareggiare i conti Rabbia e vendicatività – Bollati Boringhierihttp://www.crescita-personale.it/gestire-emozioni/1775/rabbia-psicologia/1560/a775/rabbia-psicologia/1560/a

 

LA PSICOLOGIA UMANISTICA DI ROGERS

LA PSICOLOGIA UMANISTICA DI ROGERS

“In ogni organismo, uomo compreso, c’è un flusso costante teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche.
Una tendenza naturale alla crescita”. Carl Rogers 

Carl Rogers

(1902-1987), è stato un importante psicologo e psicoterapeuta statunitense.

Attraverso le proprie esperienze cliniche e terapeutiche individuò nella condotta umana una serie diversificata di motivazioni, non completamente riconducibili al paradigma psicoanalitico del conflitto di natura sessuale, inserendo quindi, in accordo con Maslow, una più ricca serie di motivazioni dei bisogni primari e fisiologici.

Quindi con la psicologia umanistica di Maslow, la psicoterapia di Rogers si colloca entro un orientamento generale alternativo tanto alla psicoanalisi quanto alle terapie comportamentali di quel periodo.

L’orizzonte di riferimento di Rogers

L’orizzonte di riferimento di Rogers è la scuola culturalista dalla quale media l’atteggiamento di protesta nei confronti della società industriale e del tipo di pensiero scientifico che essa esprimeva in quel periodo storico.

In particolare la proposta di Rogers poggia sulla convinzione della positività dello sviluppo umano.

La personalità

La personalità dunque possiede innate tendenze all’integrazione, all’attuazione di sè, alla relazione con altri.

L’unità della personalità non è strutturale ma dinamica e può essere colta solo nel divenire e nel mutamento.

Ma il mutamento è spesso impedito dalla paura del nuovo.

Perchè fin dall’infanzia l’individuo è indotto ad accettare ed assimilare i valori del suo ambiente per non perdere l’amore delle persone di riferimento.

Tali norme costituiscono un blocco rigido che lo costringono a rifiutare tutto quanto appare incompatibile con esse.

Quando, nel corso della terapia, questa struttura difensiva viene superata, il paziente diventa capace di portare alla coscienza un numero sempre crescente di esperienze significative e di includerle in un concetto allargato di sè, aperto a ulteriori apporti di esperienza e a tutte le modificazioni indotte dal fluire della vita stessa.

La disponibilità al cambiamento

Per indurre questa disponibilità al cambiamento Rogers rifiuta tutto “l’arsenale tecnico codificato” e il concetto stesso di “metodo” in psicoterapia.

Per Rogers la cura può avvenire solo nell’incontro tra due persone: il terapeuta e il paziente.

Il modello di Rogers conserva il suo valore storico che consiste nell’aver denunciato ogni tecnicismo e nell’aver spostato l’attenzione dal sintomo al rapporto interpersonale e umano”.*

Con Rogers l’uomo è quindi riportato al suo compito di datore di senso, di un progetto esistenziale che eventualmente deve essere aiutato a ricostruire ricavandolo dentro di sè.

Il terapeuta deve favorire la libera espressione della emotività del paziente sostenendolo, senza influenzarlo, nell’autonomo processo di comprensione della propria realtà psichica.

Per definire questo aiuto Rogers propone non una tecnica ma un atteggiamento, un atteggiamento interiore verso la vita, verso gli altri e, preliminarmente, verso se stessi.

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Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito,6 (angolo Via Torino) – MILANO– Cell. 3477966388BLUFonti:
* S. Vegetti Finzi, Storia della Psicanalisi, Autori opere teorie 1895-1990, Mondadori 1990
C.R. Rogers, Psicoterapia di consultazione (1942), trad. it. Astrolabio, Roma 1971
C.R. Rogers, La terapia centrata sul cliente (1953), trad. it. Martinelli, Milano 1970
U. Galimberti, Psicologia, Le Garzantine, Garzanti, Torino 1999
Immagine di copertina:
Edward Hopper, Second story sunlight, 1960

Carl Rogers

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Le logiche della comunicazione di paul grice

LE LOGICHE DELLA CONVERSAZIONE DI PAUL GRICE

LE LOGICHE DELLA CONVERSAZIONE

“Un comportamento definito “folle” può essere l’unica reazione possibile ad un ambiente in cui si comunica in maniera assurda e insostenibile”
Paul Watzlawick

Herbert Paul Grice

(1913 – 1988) è stato un filosofo inglese, docente dapprima a Oxford e successivamente a Berkeley.

Egli ha dato un enorme contributo alla teoria della comunicazione.

Le logiche della conversazione

Grice ha fissato regole fondamentali alla conversazione fra individui soggetti al principio di cooperazione che dice:

«Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato».

Il principio di cooperazione è dunque una convenzione sociale e culturale la quale ci aiuta a interpretare il significato contestuale di un enunciato, ovvero la sua implicatura conversazionale.

Le regole di cooperazione sono quattro

Le regole di cooperazione sono quattro e vanno sotto il nome di massime conversazionali e osservano questi principi:

– quantità (“Dai un contributo appropriato sotto il profilo della quantità di informazioni”)

– qualità (“Non dire cose che credi false o che non hai ragione di credere vere”)

– relazione (“Dai un contributo pertinente ad ogni stadio della comunicazione”)

– modo (“Esprimiti in modo chiaro, breve, ordinato”).

Implicature conversazionali

E’ comunque ovvio che queste massime possono essere violate o sfruttate secondo gli scopi comunicativi.

Il comportamento derivante dalla loro osservanza, violazione o sfruttamento – genera delle implicature conversazionali le quali sono:

«informazioni supplementari derivanti dal confronto di ciò che il parlante ha detto con la sua supposta aderenza al principio di cooperazione e alle massime».

Ad esempio, se al mio interlocutore dico: “Quella persona è sgradevole vero?”, e questi replica:  “Che bella giornata oggi, non è vero?”, dal fatto che egli non sta rispettando la massima della relazione (la sua risposta manca di pertinenza), e dall’assunto che stia comunque rispettando il principio di cooperazione (non ho motivo per ritenere l’opposto) – inferisco che la violazione della massima è deliberata e non accidentale: la sua conversazione quindi implica che egli non voglia pronunciarsi sulla persona in questione.

A partire dal 1975, molti sono stati i linguisti e i filosofi che hanno raccolto l’insegnamento di Grice, sviluppandolo in varie direzioni.

Questa teoria della comunicazione ha come pregi la semplicità e l’aderenza al percepito, al quotidiano, aspetti per le quali si rende molto intuitiva e interessante da esplorare.

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Dott. Donato Saulle

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Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito, 6 (angolo Via Torino) – MILANO – Cell. 347.7966388

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IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO – Quanto dura una psicoterapia

IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO – Quanto dura una psicoterapia

Ricostruendo, attraverso la psicoterapia, la sua storia al di fuori delle lusinghe narcisistiche dell’autobiografia, il soggetto riordina le contingenze passate attribuendo loro il senso di necessità future.

Connettendo passato e futuro la storia si fa progetto senza scadere nel delirio onnipotente.
Il tempo del soggetto è dunque il futuro anteriore, quel “sarà stato” che scandisce la terapia.

Solo attraverso l’esaustione di tutte le impossibilità il soggetto accede a quei pochi gradi di libertà con i quali può esercitare il suo residuo potere”.
Silvia Vegetti Finzi

Quanto dura una psicoterapia

La durata di una psicoterapia è molto variabile e dipende da numerosi fattori: da quanto tempo la persona ha sopportato da sola il problema, la complessità del problema, la condizione emotiva del paziente al momento della richiesta e le sue possibilità economiche.

Spesso si pensa che i problemi di tipo psicologico necessitino di un intervento lungo e costoso.

Con un percorso di psicoterapia integrata a volte il problema si sblocca in poche sedute permettendo alla persona di recuperare la fiducia nelle proprie capacità personali.

Inoltre nessun paziente viene sequestrato dal suo terapeuta; bensì decide sempre in maniera autonoma e certo, se vuole, insieme al terapeuta, di poter scegliere il momento più adatto in cui sospendere o interrompere il suo percorso.

Chiaramente più sono complessi gli obiettivi e le situazioni che la persona si prefigge di raggiungere, di superare o comprendere e più probabilmente sarà necessario impegnare del tempo per raggiungerli.

A volte però è necessario essere supportati soltanto per un breve tratto del proprio percorso di vita.

Nel mio caso comunque la scelta di rinnovare ogni volta l’incontro terapeutico è sempre del paziente che scieglie, in totale libertà, di valutare e decidere se proseguire o interrompere il percorso psicologico o psicoterapeutico proposto anche senza dare formale comunicazione allo psicoterapeuta.

Chiedere, anche con un solo colloquio, il parere di uno psicoterapeuta, significa avere la totale riservatezza garantita dal segreto professionale e l’opinione di un professionista per tutti quei problemi che non si riescono a risolvere da soli.

Ogni seduta deve essere considerata come incontro unico e rinnovabile solo fissando un nuovo appuntamento.

E’ opportuno comunque riflettere sul fatto che un percorso terapeutico è un percorso di conoscenza di sè che è utile affrontare con serietà.

La psicoterapia

La psicoterapia è una terapia della parola; è l’arte di saper dare il giusto nome alle istanze della psiche per donare un senso nuovo, più profondo e più ampio alla propria biografia e alla propria storia.
E’ essenzialmente un percorso di conoscenza di sè stessi che porta anche a imparare a rispettare i propri tempi interni.

Jung diceva che: “tutto ciò che ha valore esige tempo e richiede pazienza “affinchè le parole dette e ascoltate diventino memoria”.

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“Utilizzo una modalità di intervento orientata a sviluppare le potenzialità umane e la riduzione del disagio nel rispetto delle inclinazioni e delle caratteristiche personali”

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