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L ARMONIA PERFETTA 1

L’ARMONIA PERFETTA – Mente e natura

L’ARMONIA PERFETTA – Mente e natura

Nonostante le differenti interpretazioni che si riscontrano nelle varie culture ed epoche storiche, i colori (come abbiamo visto in un post precedente sulla psicologia dei colori) rappresentano in ogni area geografica e a ogni livello di conoscenza uno dei livelli più significativi della lettura simbolica del mondo esteriore e interiore. Per ciascuna cultura e per ciascun individuo ogni colore assume un certo significato ed esercita un certo effetto connesso a immagini, contenuti, figurazioni ed emozioni che il soggetto percepisce anche se non conosce.

In alcune tribù Balinesi si usa definire l’infinita gamma di colori in due modi: i colori chiari e i colori scuri. Scrive l’antropologo G.Bateson in Mente e Natura: “in tutte le forme di pensiero, anche se in qualcuna di più e in qualcuna di meno, c’è una fortissima tendenza a pensare e a parlare come se il mondo fosse costituito da parti separabili. Tutti i popoli del mondo, tutti i popoli esistenti e conosciuti hanno qualcosa che somiglia a una lingua e sembra che tutte le lingue si basino su una rappresentazione particellare dell’universo. Tutte le lingue hanno qualcosa di simile ai nomi e ai verbi, che isolano oggetti, enti, eventi, esperienze e astrazioni. In qualunque modo si esprima, la differenza suggerisce sempre delimitazioni e confini, produce conflitti e procura inutili soffferenze.

Se i nostri mezzi per descrivere il mondo scaturiscono da nozioni di differenza, allora la nostra immagine dell’universo non può che essere particellare.

Diffidare quindi della lingua e credere nella sostanziale unità dell’essere diventa un atto di fiducia.

Quando parliamo dell’universo non possiamo far altro che darne descrizioni suddivise. Ma queste suddivisioni in confini, in parti nominabili, possono essere fatte in tanti modi. Alcuni migliori, altri peggiori. A volte in buonafede a volte in mala-fede.

Chi delimita confini e marca diversità esprime una visione primitiva e parziale del mondo.

Come dice W. Blake in The Gost of Abel: “la natura non ha contorni”.

Dott. Donato Saulle

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blu psicologo milanoPsicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito, 6 (angolo Via Torino) – MILANO – Cell. 3477966388blu psicologo milanoTratto da:
Bateson Gregory – Mente e natura –  Psicologia – Adelphi Editore
Bateson Gregory – Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente –  Psicologia – Adelphi Editore
Galimberti Umberto – Psicologia – Garzanti
https://it.wikipedia.org-psicologia
Modelli di psicologia – Il Mulino
Immagine: Piet Mondrian | Armonia Perfetta
Immagine di copertina: Piet Mondrian | Armonia Perfetta (modificata)blu psicologo milanoTag. Psicologia, psicologia del colore, Armonia perfetta, Mente e natura, Il test dei colori, psicologia dell’arte

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GESTIONE DELLA RABBIA

LA GESTIONE DELLA RABBIA

LA GESTIONE DELLA RABBIA

L’uomo che coltiva per tutta la vita la propria vendetta mantiene le sue ferite sempre aperte”. 

F. Bacone

Con il termine rabbia si indica uno stato psichico alterato, in genere suscitato da elementi di provocazione capaci di rimuovere i freni inibitori che normalmente stemperano le scelte del soggetto coinvolto.

Con la rabbia si prova una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni casi anche verso se stessi.

La psicologia e le varie discipline neuroscientifiche hanno dimostrato che la rabbia nasce come reazione alla frustrazione.

Lo stesso Wilhelm Reich diceva che la rabbia è un’emozione secondaria rispetto alla frustrazione e la frustrazione, noi sappiamo, nasce dal dolore, nasce dal mancato soddisfacimento di un nostro desiderio, ovvero, nasce da una impossibilità di raggiungere il piacere. La rabbia, quindi, nasce dalla frustrazione ma maschera il dolore.

Gli stati d’animo di rabbia e vendetta, oltre che da ferite e delusioni, possono essere fatti precipitare da un conflitto narcisistico, cioè da un conflitto avente a che fare con il senso di colpa o da una esperienza di fallimento o di grave sbaglio con conseguenti sentimenti di perdita, in cui l’aggressività diretta contro il Sè viene secondariamente rivolta verso soggetti esterni.

Mentre il sentimento della rabbia può contenere potenziali positivi e correttivi, la vendicatività è totalmente e inutilmente distruttiva.

I pazienti non si liberano dalla rabbia e dalla sete di vendetta unicamente elaborando l’ostilità che è dentro di loro. Le radici della rabbia e della vendicatività saranno distrutte quando la terapia sarà riuscita a elaborare il dolore e l’angoscia da separazione situati nelle sfere più profonde, solo in quel momento il paziente potrà accostare i suoi simili in modo più flessibile e armonico.”

CONTATTACI ADESSO:  Tel. 347 7966388 – Email: info@donatosaulle.it

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Tratto da:

Bollati Boringhieri – Rabbia e vendicatività
Harold F. Searles – La psicodinamica della vendicatività
Bollati Boringhieri Charles W. Socarides – La vendicatività: il desiderio di pareggiare i conti Rabbia e vendicatività – Bollati Boringhierihttp://www.crescita-personale.it/gestire-emozioni/1775/rabbia-psicologia/1560/a775/rabbia-psicologia/1560/a

 

LA PSICOLOGIA UMANISTICA DI ROGERS

LA PSICOLOGIA UMANISTICA DI ROGERS

“In ogni organismo, uomo compreso, c’è un flusso costante teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche.
Una tendenza naturale alla crescita”. Carl Rogers 

Carl Rogers

(1902-1987), è stato un importante psicologo e psicoterapeuta statunitense.

Attraverso le proprie esperienze cliniche e terapeutiche individuò nella condotta umana una serie diversificata di motivazioni, non completamente riconducibili al paradigma psicoanalitico del conflitto di natura sessuale, inserendo quindi, in accordo con Maslow, una più ricca serie di motivazioni dei bisogni primari e fisiologici.

Quindi con la psicologia umanistica di Maslow, la psicoterapia di Rogers si colloca entro un orientamento generale alternativo tanto alla psicoanalisi quanto alle terapie comportamentali di quel periodo.

L’orizzonte di riferimento di Rogers

L’orizzonte di riferimento di Rogers è la scuola culturalista dalla quale media l’atteggiamento di protesta nei confronti della società industriale e del tipo di pensiero scientifico che essa esprimeva in quel periodo storico.

In particolare la proposta di Rogers poggia sulla convinzione della positività dello sviluppo umano.

La personalità

La personalità dunque possiede innate tendenze all’integrazione, all’attuazione di sè, alla relazione con altri.

L’unità della personalità non è strutturale ma dinamica e può essere colta solo nel divenire e nel mutamento.

Ma il mutamento è spesso impedito dalla paura del nuovo.

Perchè fin dall’infanzia l’individuo è indotto ad accettare ed assimilare i valori del suo ambiente per non perdere l’amore delle persone di riferimento.

Tali norme costituiscono un blocco rigido che lo costringono a rifiutare tutto quanto appare incompatibile con esse.

Quando, nel corso della terapia, questa struttura difensiva viene superata, il paziente diventa capace di portare alla coscienza un numero sempre crescente di esperienze significative e di includerle in un concetto allargato di sè, aperto a ulteriori apporti di esperienza e a tutte le modificazioni indotte dal fluire della vita stessa.

La disponibilità al cambiamento

Per indurre questa disponibilità al cambiamento Rogers rifiuta tutto “l’arsenale tecnico codificato” e il concetto stesso di “metodo” in psicoterapia.

Per Rogers la cura può avvenire solo nell’incontro tra due persone: il terapeuta e il paziente.

Il modello di Rogers conserva il suo valore storico che consiste nell’aver denunciato ogni tecnicismo e nell’aver spostato l’attenzione dal sintomo al rapporto interpersonale e umano”.*

Con Rogers l’uomo è quindi riportato al suo compito di datore di senso, di un progetto esistenziale che eventualmente deve essere aiutato a ricostruire ricavandolo dentro di sè.

Il terapeuta deve favorire la libera espressione della emotività del paziente sostenendolo, senza influenzarlo, nell’autonomo processo di comprensione della propria realtà psichica.

Per definire questo aiuto Rogers propone non una tecnica ma un atteggiamento, un atteggiamento interiore verso la vita, verso gli altri e, preliminarmente, verso se stessi.

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Dott. Donato Saulle

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Psicologo Milano – Psicoterapeuta – Via San Vito,6 (angolo Via Torino) – MILANO– Cell. 3477966388BLUFonti:
* S. Vegetti Finzi, Storia della Psicanalisi, Autori opere teorie 1895-1990, Mondadori 1990
C.R. Rogers, Psicoterapia di consultazione (1942), trad. it. Astrolabio, Roma 1971
C.R. Rogers, La terapia centrata sul cliente (1953), trad. it. Martinelli, Milano 1970
U. Galimberti, Psicologia, Le Garzantine, Garzanti, Torino 1999
Immagine di copertina:
Edward Hopper, Second story sunlight, 1960

Carl Rogers

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LA SCRITTURA TERAPEUTICA

LA SCRITTURA TERAPEUTICA

La psicoterapia ci aiuta ad affrontare molteplici problemi, disturbi e difficoltà personali.

Nel creare, adattare e scegliere i diversi strumenti terapeutici con cui ”toccare i tasti giusti”, gli psicoterapeuti  devono essere particolarmente creativi pur nell’osservanza della teoria di riferimento.

Una delle tecniche più adoperate nella psicoterapia è la scrittura e in questo articolo si spiega perché viene impiegata come strumento terapeutico.

Esistono diversi modi di utilizzare la scrittura come strumento terapeutico, tutti basati sul mettere per iscritto i processi mentali quali pensieri, dubbi, desideri, obiettivi, piani, ma anche sentimenti ed emozioni.

Tuttavia, mettere nero su bianco tutto ciò, senza il supporto e i consigli di un professionista, può rivelarsi controproducente.

Vale a dire che per trarre dei benefici terapeutici dalla scrittura, deve essere ”orientata”, ritualizzata e basata su indicazioni ben precise.

Con quali pazienti si usa la scrittura come strumento terapeutico?

Nonostante la scrittura intesa come strumento terapeutico possa essere impiegata in diverse situazioni e per diversi motivi, è una tecnica adatta a precisi pazienti e problemi.

Anzitutto, si tratta di una tecnica consigliata solo nel trattamento di pazienti che abbiano sufficienti capacità di lettura e scrittura per affrontare al meglio il compito che viene loro assegnato.

In altre parole, questo metodo è rivolto a persone che non provino ansia nel dover scrivere e che se la sentano, in modo totalmente volontario, di portare a termine il compito senza sentirsi incapaci o inferiori.

A tal proposito, tale compito deve essere ”una scommessa sicura”.

In secondo luogo, la scrittura aiuta molto i pazienti che hanno difficoltà ad esternare verbalmente ciò che accade loro e che provano, pensano o desiderano.

Per queste persone scrivere è un modo per ”buttare fuori” tutto quello che li riguarda, senza subire pressioni né provare vergogna.

Scrivere i propri sentimenti, pensieri e desideri è uno dei modi migliori di fare ordine nella propria testa.

In questo modo, al caos subentrano idee tangibili e chiare.

La scrittura, dunque, può rivelarsi particolarmente adatta per le persone introverse.

Quando è opportuno impiegare la scrittura come strumento terapeutico?

Una volta appurato che il paziente è in grado di affrontare le attività di scrittura a fini terapeutici, bisogna adattarle al suo caso.

Le situazioni in cui si opta più spesso per un terapia basata sulla scrittura sono le seguenti:

Gestione di sentimenti negativi riguardo eventi del passato.
Ricordi traumatici.
Elaborazione di un lutto.
Accettazione di cambiamenti del proprio ruolo e del ciclo vitale.
Necessità di guardare i problemi in prospettiva.
Necessità di miglioramento dell’autostima.
Prevenzione delle ricadute (sia nel caso delle dipendenze sia nel caso di disturbi come ansia e depressione).

Oltre che nei casi sopracitati, tutti riguardanti la psicologia clinica, la scrittura può rivelarsi uno strumento terapeutico anche nei percorsi di crescita personale.

Quando si tratta di definire i propri obiettivi ed elaborare un piano d’azione per raggiungerli, la scrittura può rivelarsi la strategia migliore.

Avere davanti ai propri occhi, su carta, ciò che si vuole realizzare e pensare a come riuscirci è anche una strategia motivazionale che ci permette di concentrarci al meglio sui nostri obiettivi.

Quali sono le attività di scrittura terapeutica più comuni?

La scrittura terapeutica viene adoperata per raggiungere obiettivi ben precisi.

Tuttavia, comprende diverse attività raggruppabili in tre categorie: lettere, frasi o messaggi e diari.

La lettera è piuttosto diffusa in psicoterapia, di solito al paziente viene chiesto di scrivere una lettera a se stesso, a qualcun altro o persino a un sintomo.

Nella lettera, il paziente deve esprimere tutto quello che pensa o prova e durante la seduta psicologica potrà discuterne col terapeuta.

Altrimenti si utilizzano frasi e messaggi quasi sempre rivolti a se stessi in cui si cerca di porre l’attenzione sulle proprie qualità fondamentali per automotivarsi ed evitare di scontrarsi con i soliti ostacoli.

In questo caso al paziente viene chiesto di scrivere dei post-it e di posizionarli in un luogo visibile oppure gli viene suggerito di mettere nel proprio portafogli una frase, un biglietto che possa aiutarlo a ritrovare la carica e la motivazione nel momento del bisogno.

Infine, anche i diari vengono spesso utilizzati in terapia.

Questa attività prevede che il paziente affronti ogni giorno un argomento (che va scelto con cura).

In questo modo, il paziente può vedere con i suoi occhi l’evoluzione del suo problema, i suoi miglioramenti e i suoi cambiamenti, tuttavia, affinché il diario si riveli utile, non basta mettere su carta i propri pensieri, bensì è necessario analizzarne il contenuto con il terapeuta.

Solo in questo modo sarà possibile sfruttare al massimo le potenzialità del diario, ciò non toglie che il paziente possa provare un certo sollievo già scrivendo un diario personale.

 

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Dott. Donato Saulle

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Tratto da: https://lamenteemeravigliosa.it/la-scrittura-strumento-terapeutico/

LA PSICOANALISI DI BRUCE SPRINGSTEEN

LA PSICOANALISI DI BRUCE SPRINGSTEEN

LA PSICOANALISI DI BRUCE SPRINGSTEEN

Bruce Springsteen

Passavo e ripassavo per le stesse strade, senza riconoscerle, senza riconoscermi.
Per un attimo mi son detto: “smettila di andare e venire così, che cosa cerchi dunque di ritrovare… o di perdere? Qui non ci sei più, rientra a casa tua”.
Ma un attimo dopo: “ma no, sei ancora qui, sei anche qui, sei sempre lo stesso, qui e laggiù, oppure non sei da nessuna parte”.
J.-B. Pontalis

https://www.youtube.com

La bibliografia su Bruce Springsteen è una delle più ampie tra quelle dedicate ai protagonisti della musica rock.
L’artista del New Jersey è uno degli esponenti della musica popolare a cui sono stati dedicati più libri biografici, saggi di critica e tesi universitarie.
La prima biografia dedicata al cantautore del New Jersey, “Born to Run. The Bruce Springsteen Story” fu scritta nel 1979 dal giornalista Dave Marsh e divenne un best seller.
A partire dagli anni ottanta il cantautore è stato oggetto di studio per il suo contributo alla rilettura, anche critica, del cosiddetto «sogno americano» e per la sua visione politica e sociale.
In seguito molti autori hanno affrontato la musica e la poetica di Springsteen che, grazie alle sue opere, stava diventando una delle voci più influenti nel mondo della cultura statunitense.

Born to run – L’autobiografia

Springsteen dedica molto tempo a descrivere accuratamente le sue origini, la sua infanzia in un quartiere duro ed operaio del New Jersey, con un padre severo e difficile e la sua lotta per cercare di trovare, personalmente e professionalmente, la propria identità (termine che usa spesso).

È in questo contesto che nasce la sua passione per la chitarra, per la musica e, in seguito, per cantare e comporre.

Ha questa capacità di scrivere con grande sensibilità quello che sente, descrivendo il modo in cui le sue relazioni e il mondo in cui è cresciuto influenzano il suo modo di suonare, il modo di interagire con i vari gruppi e i temi delle sue canzoni e dei suoi album.

Una cosa  che colpisce è la sua determinazione nel perseguire il desiderio che sentiva dentro di riscatto, la sua ambizione, per se stesso e per la sua musica.

Ad un certo punto arriva un successo straordinario, raggiunge un enorme riconoscimento pubblico. E’ in quel periodo che decide di viaggiare attraverso gli Stati Uniti assieme ad un suo caro amico.

Mentre attraversano il Texas in auto, si fermano in una cittadina in festa, una fiera di paese, con musica e balli e questa scena, racconta, gli provoca un profondo senso di solitudine e angoscia.
Springsteen ne rimane paralizzato.

Scrive:
alla fiera c’è musica, un palchetto, un gruppo che suona nella serata gelida. Uomini e donne ballano abbracciati, io li ossservo e di punto in bianco vengo colto dalla disperazione e dall’invidia per quelle coppie e del loro rituale di fine estate, i piccoli piaceri che tengono unite quelle persone e la loro città. Certo, per quanto ne so potrebbero odiare quel buco desolato, potrebbero detestarsi l’un l’altro e mettersi allegramente le corna: come escluderlo?

In quel momento, però, penso solo che vorrei essere fra loro, essere uno di loro.

Ma so che non posso.

Li guardo, non posso fare altro.
Li guardo… e prendo nota. Non mi immischio e se lo faccio i miei termini sono talmente rigidi da soffocare l’anima di qualsiasi sviluppo positivo di tutto ciò che è reale.

In questa cittadina sul fiume, la mia vita di osservatore, di attore che si tiene prudentemente alla larga dalla mischia emotiva, dalle conseguenze del caos connaturato al vivere e all’amare, mi presenta il conto.

Ho trentadue anni e quello che un tempo sapeva anestetizzarmi l’anima e la mente non funziona più.

Ho appena eseguito un impeccabile tuffo nel mio abisso, lo stomaco è in centrifuga…
Dopo un’ora di tormento, chiedo a Matt di tornare indietro, a quell’ultima città che abbiamo lasciato: “subito per favore”. Matt non mi chiede perchè e torna.

Ho bisogno di quella città, soprattutto ho bisogno di allontanarmi da quella festa al più presto. Mi manca l’aria.

Non so dire perchè, sento solo la necessità di mettere le radici da qualche parte prima di dissolvermi nell’etere.

Quando arriviamo è quasi l’alba, è buio pesto e non c’è anima in giro. Mi viene da piangere, ma le lacrime non escono. Non ho mai provato una angoscia simile. Perchè quì? Perchè stasera? Non lo so.

So solo  che, con il passare degli anni, il peso dei nodi irrisolti si fa molto più pesante, il prezzo sempre più alto.

Forse avevo tagliato un laccio di troppo, avevo fatto eccessivo affidamento sulla mia infallibile magia musicale, mi ero allontanato troppo da quella nebulosa identità che mi ero costruito.

Quale che fosse la ragione, mi ero nuovamente smarrito nel mezzo del nulla, ma stavolta ero rimasto a secco di euforia e illusione.

Nulla riesce a lenire la malinconia e cancellare lo spettro di quella serata alla fiera.

Già da tempo le difese che mi ero costruito per proteggermi e sopportare le tensioni dell’infanzia hanno perso il loro scopo originale ma ormai ne sono diventato dipendente.

Le sfrutto per isolarmi oltre il dovuto, sancire la mia alienazione, tagliarmi fuori dalla vita, controllare gli altri e tenere a bada le emozioni finchè non fa male.

Ora però non funziona più.

L’incontro con la psicoanali

Nel documentario “In his own word”  Springsteen racconta così il suo incontro con la psicoanalisi.

In passato avevo l’abitudine di salire in macchina e di guidare fino al mio vecchio quartiere,
quello in cui sono cresciuto,
arrivavo lì e passavo davanti alle case in cui avevo vissuto, lo facevo sopratutto di notte, perchè spesso rimanevo sveglio.
L’ho fatto con una certa regolarità,
due tre quattro volte alla settimana – per anni – finchè un giorno mi sono chiesto
“ma che cosa diavolo mi è preso?”
così sono andato da un analista e…
giuro che è vero…
sono andato lì,
mi sono seduto e ho detto
“dottore per anni sono salito in macchina e sono tornato al mio vecchio quartiere, in piena notte,  per guardare le case e i posti dove sono vissuto,
l’ho fatto per anni,
ora vorrei sapere cosa significa” e lui mi ha detto:
“dimmelo tu perchè lo hai fatto”
“veramente la pago proprio per questo”
e lui mi ha risposto:
“forse ti senti in colpa per qualcosa e stai cercando un modo per liberarti di quel peso,
hai commesso un errore
e quindi continui a tornare sui tuoi passi per vedere se puoi rimediare”
al che io ho detto:
“è proprio così…”
e lui:
“non puoi”.

Springsteen scrive in “Born to run” di essere stato in terapia per venticinque anni:
”il risultato del mio lavoro con lui ed il debito che provo nei suoi confronti sono l’anima di questo libro”

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BLU

Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Bruce_Springsteen
Bibliografia su Bruce Springsteen
ISBN 88-85008-66-6. (EN) John W. Duffy (a cura di), Bruce Springsteen. In His Own Words, 1ª ed., Londra, Omnibus Press, 1993, ISBN 0-7119-3017-1.
Bruce Springsteen, Born to Run, New York, Simon & Shuster, 2016, ISBN 978-1-5011-4151-5.
Bruce Springsteen, Born to Run. L’autobiografia, traduzione di Michele Piumini, 1ª ed., Milano, Mondadori, 2016, ISBN 978-88-04-66932-6.
http://www.dedalusbologna.it/blog/parliamone/boss-la-psicoanalisi

LA SICUREZZA DEGLI OGGETTI

LA SICUREZZA DEGLI OGGETTI

Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”
C.G. Jung

“Ricostruendo, attraverso la psicoterapia, la sua storia al di fuori delle lusinghe narcisistiche dell’autobiografia, il soggetto riordina le contingenze passate attribuendo loro il senso di necessità future.

Connettendo passato e futuro la storia si fa progetto senza scadere nel delirio onnipotente.
Il tempo del soggetto è dunque il futuro anteriore, quel “sarà stato” che scandisce la terapia.

Solo attraverso l’esaustione di tutte le impossibilità il soggetto accede a quei pochi gradi di libertà con i quali può esercitare il suo residuo potere”.
Silvia Vegetti Finzi

“La sicurezza degli oggetti”

è un film del 2001 diretto da Rose Troche.

In un sobborgo americano le esistenze di quattro famiglie si incrociano.

Le vite di tutti si incroceranno solo per scoprire di essere determinate più dal possesso di determinati oggetti che dalla propria affettività.

Una folla di protagonisti recitati da bravi attori, una sceneggiatura ben strutturata negli incroci apparentemente casuali dei vari destini.

I protagonisti sono moderni disadattati, divenuti affettivamente analfabeti, che cercano tuttavia di aggrapparsi a quello che hanno per dare un senso alle proprie vite ma senza trovare il coraggio di approfondire sè stessi.

Sono persone perbene, della classe media, con belle case, tanti oggetti, eppure sentono la mancanza di qualcosa di fondamentale.

Manca per esempio la trasparenza dei sentimenti, che risultano opachi a sé e agli altri e manca la consapevolezza del proprio spessore psicologico, come manca il possesso di affetti, anziché di cose, mentre ci sarebbe – e invece si spreca – il tempo di condividere esperienze con gli altri.

Concentrandosi su alcuni episodi significativi delle loro esistenze, il film ci restituisce così brandelli di una vita alienata, descritta con uno stile minimalista, attento ai particolari minori, solo apparentemente insignificanti, e lo fa però con calore umano e autentica capacità di empatia nei confronti dei protagonisti.

Perché l’insensatezza è di questo mondo e riguarda in fondo tutti noi, in particolar modo quando abbiamo paura di incontrare noi stessi e non riusciamo a trovare la forza di approfondire le forze inconsce che ci abitano e che hanno un peso enorme sulle nostra vita agendo al di fuori della consapevolezza.

E’ forse questa paura la fonte di tante vite che dall’esterno appaiono assurde, senza un senso, le vite “a caso”, destinate ad accartocciarsi  in un finale tanto prevedibile agli altri quanto incomprensibile a sè stessi.

Dott. Donato Saulle

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Fonti:
mymovies.it
Amazon – La sicurezza degli oggetti
Immagine:
“Ieweled Infinite” di Rafael Araujo

Le logiche della comunicazione di paul grice

LE LOGICHE DELLA CONVERSAZIONE DI PAUL GRICE

LE LOGICHE DELLA CONVERSAZIONE

“Un comportamento definito “folle” può essere l’unica reazione possibile ad un ambiente in cui si comunica in maniera assurda e insostenibile”
Paul Watzlawick

Herbert Paul Grice

(1913 – 1988) è stato un filosofo inglese, docente dapprima a Oxford e successivamente a Berkeley.

Egli ha dato un enorme contributo alla teoria della comunicazione.

Le logiche della conversazione

Grice ha fissato regole fondamentali alla conversazione fra individui soggetti al principio di cooperazione che dice:

«Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene, dall’intento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato».

Il principio di cooperazione è dunque una convenzione sociale e culturale la quale ci aiuta a interpretare il significato contestuale di un enunciato, ovvero la sua implicatura conversazionale.

Le regole di cooperazione sono quattro

Le regole di cooperazione sono quattro e vanno sotto il nome di massime conversazionali e osservano questi principi:

– quantità (“Dai un contributo appropriato sotto il profilo della quantità di informazioni”)

– qualità (“Non dire cose che credi false o che non hai ragione di credere vere”)

– relazione (“Dai un contributo pertinente ad ogni stadio della comunicazione”)

– modo (“Esprimiti in modo chiaro, breve, ordinato”).

Implicature conversazionali

E’ comunque ovvio che queste massime possono essere violate o sfruttate secondo gli scopi comunicativi.

Il comportamento derivante dalla loro osservanza, violazione o sfruttamento – genera delle implicature conversazionali le quali sono:

«informazioni supplementari derivanti dal confronto di ciò che il parlante ha detto con la sua supposta aderenza al principio di cooperazione e alle massime».

Ad esempio, se al mio interlocutore dico: “Quella persona è sgradevole vero?”, e questi replica:  “Che bella giornata oggi, non è vero?”, dal fatto che egli non sta rispettando la massima della relazione (la sua risposta manca di pertinenza), e dall’assunto che stia comunque rispettando il principio di cooperazione (non ho motivo per ritenere l’opposto) – inferisco che la violazione della massima è deliberata e non accidentale: la sua conversazione quindi implica che egli non voglia pronunciarsi sulla persona in questione.

A partire dal 1975, molti sono stati i linguisti e i filosofi che hanno raccolto l’insegnamento di Grice, sviluppandolo in varie direzioni.

Questa teoria della comunicazione ha come pregi la semplicità e l’aderenza al percepito, al quotidiano, aspetti per le quali si rende molto intuitiva e interessante da esplorare.

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IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO – Quanto dura una psicoterapia

IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO – Quanto dura una psicoterapia

Ricostruendo, attraverso la psicoterapia, la sua storia al di fuori delle lusinghe narcisistiche dell’autobiografia, il soggetto riordina le contingenze passate attribuendo loro il senso di necessità future.

Connettendo passato e futuro la storia si fa progetto senza scadere nel delirio onnipotente.
Il tempo del soggetto è dunque il futuro anteriore, quel “sarà stato” che scandisce la terapia.

Solo attraverso l’esaustione di tutte le impossibilità il soggetto accede a quei pochi gradi di libertà con i quali può esercitare il suo residuo potere”.
Silvia Vegetti Finzi

Quanto dura una psicoterapia

La durata di una psicoterapia è molto variabile e dipende da numerosi fattori: da quanto tempo la persona ha sopportato da sola il problema, la complessità del problema, la condizione emotiva del paziente al momento della richiesta e le sue possibilità economiche.

Spesso si pensa che i problemi di tipo psicologico necessitino di un intervento lungo e costoso.

Con un percorso di psicoterapia integrata a volte il problema si sblocca in poche sedute permettendo alla persona di recuperare la fiducia nelle proprie capacità personali.

Inoltre nessun paziente viene sequestrato dal suo terapeuta; bensì decide sempre in maniera autonoma e certo, se vuole, insieme al terapeuta, di poter scegliere il momento più adatto in cui sospendere o interrompere il suo percorso.

Chiaramente più sono complessi gli obiettivi e le situazioni che la persona si prefigge di raggiungere, di superare o comprendere e più probabilmente sarà necessario impegnare del tempo per raggiungerli.

A volte però è necessario essere supportati soltanto per un breve tratto del proprio percorso di vita.

Nel mio caso comunque la scelta di rinnovare ogni volta l’incontro terapeutico è sempre del paziente che scieglie, in totale libertà, di valutare e decidere se proseguire o interrompere il percorso psicologico o psicoterapeutico proposto anche senza dare formale comunicazione allo psicoterapeuta.

Chiedere, anche con un solo colloquio, il parere di uno psicoterapeuta, significa avere la totale riservatezza garantita dal segreto professionale e l’opinione di un professionista per tutti quei problemi che non si riescono a risolvere da soli.

Ogni seduta deve essere considerata come incontro unico e rinnovabile solo fissando un nuovo appuntamento.

E’ opportuno comunque riflettere sul fatto che un percorso terapeutico è un percorso di conoscenza di sè che è utile affrontare con serietà.

La psicoterapia

La psicoterapia è una terapia della parola; è l’arte di saper dare il giusto nome alle istanze della psiche per donare un senso nuovo, più profondo e più ampio alla propria biografia e alla propria storia.
E’ essenzialmente un percorso di conoscenza di sè stessi che porta anche a imparare a rispettare i propri tempi interni.

Jung diceva che: “tutto ciò che ha valore esige tempo e richiede pazienza “affinchè le parole dette e ascoltate diventino memoria”.

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“Utilizzo una modalità di intervento orientata a sviluppare le potenzialità umane e la riduzione del disagio nel rispetto delle inclinazioni e delle caratteristiche personali”

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La linguistica di Saussurre (1)

LA LINGUISTICA DI SAUSSURE

LA LINGUISTICA DI SAUSSURE

Ferdinand de Saussure

(1857 – 1913) è stato un linguista e semiologo svizzero. È considerato uno dei fondatori della linguistica moderna, in particolare di quella branca conosciuta con il nome di strutturalismo.

Linguistica

La linguistica è lo studio delle lingue, nella loro storia, nelle loro strutture e nei loro rapporti con la storia della cultura.

La linguistica di Saussure

Il segno linguistico è un’entità a due facce; è espressione linguistica e contenuto concettuale. Esso è arbitrario e convenzionale. La linguistica teorica non deve occuparsi del rapporto della lingua con oggetti extralinguistici ma della sintassi, dei rapporti tra i segni linguistici, e della morfologia, dei rapporti associativi tra gli elementi del lessico.

La semantica riguarda l’organizzazione peculiare del lessico di una lingua. Qui il concetto di struttura o sistema ha un grande rilievo. Se è vero infatti che la lingua è un sistema, ogni espressione (significante) e ogni contenuto (significato) ha un valore all’interno del sistema della lingua.

Ogni comunità linguistica sviluppa in modo diverso la terminologia di un campo concettuale.

Dopo anni si sono sviluppati vari modi di concepire lo studio dei significati delle voci lessicali: come studio dei vari modi in cui le lingue strutturano il mondo; come studio dei modi in cui lo stesso campo concettuale è strutturato in varie voci. La prima ipotesi rispecchia il punto di vista strutturalista; con la seconda si ammette che esistano componenti concettuali comuni alle specie umana.

Uno dei modi più diffusi di analisi della struttura del lessico è stata l’analisi componenziale, cioè la scomposizione dei significati delle parole in elementi minimi di significato chiamati tratti semantici o primitivi semantici.

Dott. Donato Saulle

Panico Psicologo Milano

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Fonti:
Dott. Domenico Valenza